Vito Volterra

Di famiglia ebrea molto povera, perse il padre all’età di due anni, e venne allevato dalla madre e dallo zio Alfonso Almagià, funzionario della Banca d’Italia. Dopo i primi anni a Torino si trasferì a Firenze, dove studiò presso la Scuola tecnica "Dante Alighieri" e poi all’Istituto tecnico "Galilei"; qui ebbe tra i docenti il fisico Antonio Roiti, che si accorse subito del suo talento soprattutto in matematica.

Grazie al suo intervento e al sostegno economico dello zio, Volterra poté  continuare gli studi e, nel 1878, iscriversi alla Facoltà di Scienze matematiche e fisiche dell’Università di Pisa. L’anno successivo superò brillantemente l’esame d’ammissione ed entrò alla Scuola Normale Superiore.

Qui trovò matematici di prim’ordine, come Ulisse Dini ed Enrico Betti che fu il suo relatore di tesi, sull’idrodinamica, discussa nel 1882. L’anno successivo, a soli 23 anni,  vinse il concorso per la cattedra di Meccanica razionale a Pisa. Nel periodo pisano si dedicò a lavori sull’analisi funzionale, di cui può essere considerato uno dei fondatori, e nel 1890 estese la teoria di Hamilton-Jacobi dalla dinamica ad altri problemi di fisica matematica.

Nel 1892, alla morte di Betti, ottenne la cattedra di Fisica matematica e diventò Preside della facoltà di Scienze. Tuttavia nel 1893 si trasferì all’Università di Torino, accettando la cattedra di Meccanica razionale e, in quel periodo, si dedicò alle equazioni alle derivate parziali e alle equazioni integrali, ora chiamate ‘di tipo Volterra’.

Per le sue ricerche ebbe significativi riconoscimenti: socio nazionale della Società dei XL (1894), socio nazionale dell’Accademia delle Scienze di Torino (1895), consigliere della Società Italiana di Fisica (1897), socio corrispondente delle Accademie di Modena e Bologna, socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei (1899) della quale sarà poi Presidente, membro della Royal Society e della Royal Society di Edimburgo (1910).

Nel 1900 lasciò Torino per la cattedra di Fisica matematica all’Università di Roma. Qui divenne uno stimato consulente del governo giolittiano per quanto riguardava la  politica scientifica. Tra il 1903 e il 1907 si occupò della riorganizzazione del Politecnico di Torino e nel 1905 venne nominato Senatore.

Due anni più tardi venne eletto Preside della Facoltà di Scienze, carica che conserverà fino al 1919. Fu grazie alla sua influenza che Orso Mario Corbino venne chiamato da Messina a reggere la cattedra di Fisica sperimentale dell’Istituto di Fisica di Roma, dopo la morte di Alfonso Sella.

Benché occupato dagli impegni istituzionali, pubblicò importanti lavori sull’applicazione della matematica alla biologia, che riprese più tardi con l’uso di equazioni differenziali non lineari (equazioni di Volterra-Lotka) in Variazioni e fluttuazioni del numero d’individui in specie animali conviventi, 1926.

Allo scoppio della Prima Guerra mondiale, Volterra si schierò apertamente con gli interventisti e, già dal 1914, auspicava un intervento italiano e una mobilitazione degli intellettuali italiani in tal senso. Egli non si limitò alla propaganda interventista, ma si arruolò volontario nel Genio. Nonostante i suoi 55 anni, si distinse per rischiose imprese a bordo di dirigibili, al cui sviluppo contribuì dal punto di vista tecnico, meritando la promozione a capitano e la Croce di Guerra.

Nel 1917 promosse la creazione di un Ufficio invenzioni e ricerche, sul modello di analoghi istituti inglesi e francesi, e nel dopoguerra favorì la nascita del Consiglio Nazionale delle Ricerche, inizialmente legato all’Accademia Nazionale dei Lincei, del quale diverrà Presidente.

Con la marcia su Roma del 1922 e con l’instaurazione del regime fascista, si schierò subito tra gli oppositori del fascismo. Nel 1923, nominato Presidente dell’Accademia dei Lincei, si oppose decisamente alla ‘riforma Gentile’ dell’istruzione, insieme a Guido Castelnuovo.

Quando nel 1925 firmò il manifesto degli intellettuali antifascisti, noto come "Manifesto Croce", e aderì al gruppo dei senatori di opposizione di Giovanni Amendola, la sua posizione di vertice nella cultura italiana non poté più essere tollerata dal governo Mussolini.

Al termine dei suoi mandati presidenziali all’Accademia e al CNR, la sua emarginazione dal panorama culturale sarà sempre più marcata e, in un clima di progressiva fascistizzazione della cultura, nel 1931 si  rifiutò di giurare la richiesta di fedeltà al regime, per cui nel 1934 venne espulso dall’Università e dall’Accademia: …sono note le mie idee politiche per quanto esse risultino esclusivamente dalla mia condotta nell’ambito parlamentare, la S.V. comprenderà quindi come io non possa in coscienza aderire all’invito da lei rivoltomi relativo al giuramento dei professori.

Si riavvicinò così a Benedetto Croce, dal quale lo dividevano le diverse posizioni sul valore intellettuale della scienza, e col quale aveva avuto numerose divergenze politiche nel periodo della guerra e del dopoguerra.

L’intensa attività scientifica che continuava a svolgere a livello internazionale gli procurò ritorsioni da parte del regime: schedato come oppositore, era controllato dalla polizia, ma nonostante l’ordine di ignorare i suoi lavori, non mancarono la stima e solidarietà di amici e colleghi, soprattutto stranieri. Gli fu offerto un dottorato onorario dall’Università di St. Andrews in Scozia nel 1938, ma le sue condizioni di salute non gli permisero di recarvisi.

L’ultimo periodo della sua vita fu particolarmente difficile per le leggi razziali del 1938. Della sua morte non venne data pubblica notizia e al funerale parteciparono i congiunti e pochi amici. Soltanto il "Bollettino della matematica" nel numero di gennaio-febbraio 1941 ebbe il coraggio di pubblicarne un breve ricordo, e solo Carlo Somiglianza  tenne presso la Pontificia Accademia delle Scienze una furtiva, ma non per questo meno significativa, commemorazione.

Dopo la guerra, la prima riunione della ricostituita Accademia dei Lincei il 17 ottobre del 1946 fu aperta con la commossa rievocazione da parte di Guido Castelnuovo.