Thomas Young
Primogenito dei dieci figli di Thomas Young, commerciante e banchiere, e Sara Davis, fu cresciuto nella religione quacchera (Società degli Amici) e in gran parte autodidatta. Imparò a leggere a due anni e a sei anni iniziò lo studio del latino, frequentò poi due scuole dove apprese la matematica elementare e una prima conoscenza di greco, francese ed italiano, mentre da solo studiava le scienze naturali, la matematica superiore e costruiva telescopi e microscopi. A 13 anni conosceva l’ebraico, caldeo, siriaco, samaritano, arabo, persiano, turco ed iniziò a seguire come tutor l’amico di una vita e suo biografo, Hudson Gurney. A 19 anni aveva già letto Newton (Principia e Opticks), Lavoisier, Black e Boerhave e iniziò gli studi di medicina a Londra, poi a Edimburgo e a Göttingen dove si laureò nel 1796.
A Edimburgo iniziò ad apprezzare la musica, il teatro e il ballo abbandonando la severa pratica della religione quacchera e accostandosi alla Chiesa di Inghilterra alla quale aderì più tardi al momento del matrimonio.
Nel 1797 entrò all’Emmanuel College di Cambridge per soddisfare a quelle che erano le richieste del Reale Ordine dei Medici per l’iscrizione e anche i desideri dello zio Richard Brocklesby che aveva sostenuto i suoi studi e la sua elezione alla Royal Society nel 1794, gli aveva fatto conoscere persone importanti tra cui William Herschel e alla sua morte gli lasciò in eredità un notevole patrimonio comprendente la casa di Londra con la sua biblioteca e pinacoteca.
Nel 1799 iniziò a lavorare come medico a Londra con studio a Welbeck Street 48 (dove ora una targa lo ricorda) senza tuttavia molto successo, il che gli permise di frequentare regolarmente la Royal Society dove si fece conoscere dal presidente Joseph Banks e da Benjamin Thompson, Conte Rumford, fondatore della Royal Institution.
Nel 1801 Rumford lo chiamò come professore di filosofia naturale, direttore delle riviste e sovrintendente alla Royal Institution, dove tenne 91 lezioni tra il 1802 e 1803, poi aggiornate con i più recenti risultati delle sue ricerche e pubblicate nel 1807(Course of Lectures on Natural Philosophy), erudite, ma spesso troppo tecniche e dettagliate per l’uditorio, al contrario delle contemporanee brillanti lezioni di Humphry Davy. Quando Rumford lasciò l’Inghilterra nel 1802, i contrasti coi successori e i suoi impegni allo studio medico lo costrinsero alle dimissioni nel 1804. Nello stesso anno sposò Eliza Maxwell, di famiglia aristocratica scozzese.
Nel 1808 conseguì il dottorato in medicina (M.D.) a Cambridge e fu iscritto al Reale Ordine dei Medici, tenne un corso al Middlesex Hospital sulla fisiologia, chimica e pratica medica (pubblicato nel 1813); nel 1811 ottenne un posto fisso al St. George Hospital.
Durante tutta la sua vita guadagnò notevoli somme scrivendo numerosi articoli, quasi sempre pubblicati anonimi, su una grande varietà di argomenti e su varie riviste tra cui 24 articoli per la Quarterly Review e circa 60 voci per la Encyclopaedia Britannica tra il 1812 e il 1824.
Ebbe anche vari incarichi pubblici legati alla scienza: segretario della Royal Society dal 1804 alla morte e membro del Consiglio dal 1806, consulente dell’Ammiragliato, supervisore dell’Almanacco Nautico, segretario della Commissione Pesi e Misure e della Commissione per la Longitudine fino alla sua abolizione nel 1828.
Nella sua attività si occupò di svariati argomenti scientifici, di ottica fisiologica, di teoria della luce, di meccanica, ma anche di linguistica, di egittologia e altro. In tutti questi campi, per la sua indipendenza economica e per la sua formazione autodidatta, può essere considerato uno ‘scienziato dilettante’; lasciò dei contributi anche importanti, ma in nessuno di essi sviluppò sistematicamente le sue idee o ipotesi.
Dal 1791 al 1801 pubblicò molte sue riflessioni, e soprattutto esperimenti, sull’ottica fisiologica e sulla teoria della visione, in particolare sul meccanismo dell’accomodazione dell’occhio al quale è dedicata anche la sua tesi di laurea del 1796 (Observations on Vision, 1793 e On the Mechanism of the Eye, 1800). Per primo descrisse l’astigmatismo di cui soffriva personalmente.
Più tardi si occupò della visione dei colori, avanzando l’ipotesi che la percezione dei colori dipendesse dalla presenza nella retina di tre diversi tipi di fibre nervose, reagenti rispettivamente al rosso, giallo e blu (in seguito indicò rosso, verde e viola), la teoria tricromatica.
Secondo Newton, ogni sensazione di colore sarebbe dovuta alla mescolanza di colori spettrali (i colori "primari") e già allora si sapeva che l’occhio riesce a distinguerne circa 200. Secondo Young, se ogni colore spettrale richiedesse un proprio tipo di recettore nella retina, che reagisse soltanto a quello, la retina dovrebbe disporre di almeno duecento tipi di fotorecettori diversi: …poiché è quasi impossibile ammettere che ogni punto sensibile della retina possa contenere un numero infinito di particelle, ognuna capace di vibrare in perfetto unisono con ogni possibile ondulazione, diventa necessario ipotizzarne un numero limitato, per esempio, ai tre colori principali, rosso, giallo e blu … e ogni filamento sensitivo del nervo potrebbe consistere di tre parti, una per ciascun colore principale (On the Theory of light and Colours, 1801, 1807).
Fece anche ipotesi per spiegare il daltonismo, ma non si spinse oltre in queste osservazioni che saranno poi riprese, estese e modificate da James Clerk Maxwell e Hermann von Helmholtz, in quella che è ora chiamata "Teoria di Young–Helmholtz" sulla sensazione del colore.
Il suo maggiore contributo scientifico, secondo la sua stessa opinione, resta il tentativo di portare prove a sostegno della teoria ondulatoria della luce. Si era interessato allo studio delle onde, in particolare la formazione della voce umana, per la tesi a Göttingen e tre anni dopo scrisse un saggio sull’argomento in seguito ad esperimenti su corde vibranti, tubi sonori e onde nei fluidi, convincendosi che anche la luce potesse esser trattata in analogia ad un’onda sonora.
Nel 1801 scrisse un lavoro, Outlines of Experiments and Inquiries Respecting Sound and Light, inviato alla Royal Society col proposito di evidenziare le difficoltà di una interpretazione newtoniana della luce e rispondere alle obiezioni ad una visione huygeniana … mostrando che le onde luminose sono simili alle onde sonore …
Nello stesso lavoro esamina il problema dell’etere luminoso (simile per lui all’etere elettrico necessario per i fenomeni elettrici), propone una spiegazione per l’annosa questione della riflessione e rifrazione parziale e conclude che: colours of light consist in the different frequencies of vibration of the luminous ether.
Nel 1801 nella conferenza alla Royal Society On the Theory of Light and Colours espone il suo principio di interferenza col quale spiega le frange degli anelli di Newton, senza tuttavia presentare esperimenti. Nel 1803 nella sua conferenza Experiments and Calculations Relative to Physical Optics espone i risultati e la spiegazione di vari esperimenti di diffrazione e interferenza della luce e nel 1807 riassume le sue conferenze alla Royal Society in una versione pubblicata dove aggiunge la descrizione dell’esperimento della doppia fenditura per il quale ora viene di solito ricordato.
Le idee di Young tuttavia non influenzarono gli studi successivi, forse per la loro natura ipotetica e scarsamente supportata da una trattazione matematica. Seguì gli sviluppi dovuti alla scoperta della polarizzazione da parte di Malus e alle successive indagini di Biot, Brewster e Arago, col quale ebbe anche una corrispondenza dove sosteneva la prevalente natura longitudinale delle onde luminose.
Nel 1817 scrisse la voce Cromatics per la Encyclopaedia Britannica dove sostiene le sue idee ed afferma che nessuna teoria sulla luce è in grado finora di spiegare la polarizzazione, ignorando che già dall’anno precedente Augustin Fresnel aveva una completa soluzione matematica.
Quello che Young non era stato in grado di fare nemmeno concettualmente, Fresnel lo realizzò matematicamente e sperimentalmente senza tenere conto delle idee di Young. Quando Young sostenne che aveva piantato la pianta e Fresnel raccolto le mele, questo replicò che la mela sarebbe nata anche senza la pianta, perché per le prime spiegazioni del fenomeno degli anelli colorati o della riflessione e rifrazione ho usato le mie risorse senza avere letto né Young né Huygens.
Young però si rese conto del problema della incompatibilità di un mezzo luminifero con onde trasversali e scrisse nel 1823: it might be inferred that the luminiferous ether, pervading all space and penetrating almost all substances is not only highly elastic, but absolutely solid!!! Proprio la fiducia nell’uso delle analogie meccaniche che lo aveva guidato alle sue scoperte lo portò a non accettarne le conseguenze e dato che non esistevano alternative ad un etere meccanico, abbandonò gli studi sulla luce per riprendere linee di ricerca che aveva tralasciato.
Le sue ricerche in meccanica sono riassunte nel suo primo libro A Course of Lectures of Natural Philosophy and the Mechanical Arts che contiene lezioni su moto, forze, idrostatica, idrodinamica, macchine pneumatiche, motori a vapore, armi da fuoco, ma anche astronomia, fisica della materia, elettricità e magnetismo, meteore, vegetazione e animali. La sua dimensione (due volumi per un totale di 1500 pagine) e la difficile comprensione dello stile di scrittura lo resero un testo per pochi piuttosto che un popolare corso di lezioni. Tuttavia le quasi 20.000 voci della bibliografia commentata e molti buoni suggerimenti lo resero interessante per chi aveva la pazienza di seguirlo.
Nella lezione Urti probabilmente per la prima volta si usa il termine energia al posto di vis viva, ma la non generalizzazione del concetto fa sì che la parola fu dimenticata fino ai lavori di Rankine e William Thomson (Lord Kelvin) del 1850.
Nella lezione Resistenze passive e Attrito introduce quello che ora è chiamato modulo di Young per trattare l’elasticità dei corpi, ma in modo veramente tortuoso e incomprensibile, per cui la presente definizione è dovuta a Thomson e Tait nel 1867.
Sviluppò anche una teoria delle maree, iniziata nel 1811 e pubblicata nella Encyclopaedia Britannica nel 1824, la più completa al tempo della sua formulazione, ma subito superata da quella di Biddell-Airy (1842) che sembra non avere conosciuto nessun lavoro di Young sulle maree.
Per la Commissione Pesi e Misure raccomandò come standard per l’unità di misura di lunghezza quella del pendolo che ‘batte il secondo’ a Londra, al livello del mare e nel vuoto.
Dopo il lungo periodo dedicato allo studio della luce ritornò ad antichi interessi per le lingue e iniziò nel 1813 il tentativo di decifrare i geroglifici egizi seguendo l’alfabeto demotico di Åkerblad. Tradusse la parte in demotico della Stele di Rosetta e tentò la traduzione dei geroglifici, ma non si rese conto che i testi in demotico e geroglifico non erano traduzioni, ma parafrasi. Alcune delle sue conclusioni furono presentate nella voce non firmata Egypt, scritta per l’edizione del 1818 della Encyclopaedia Britannica. Quando Champollion nel 1822 pubblicò la sua traduzione dei geroglifici, Young ne apprezzò il lavoro, ma fece notare in Account of the Recent Discoveries in Hieroglyphic Literature and Egyptian Antiquities (1823) che il francese si era basato sul suo sistema e pertanto ne chiese il dovuto riconoscimento, senza ottenerlo. Questa disputa, aggiunta alla tensione politica dell’epoca tra i due paesi, divise nettamente i sostenitori inglesi di Young e quelli francesi di Champollion, che negò sempre di conoscere il lavoro, del resto errato, di Young.
Nonostante sia famoso per idee poi sviluppate da altri e fosse un dilettante ebbe una discreta fama di scienziato e fu eletto membro straniero dell’Accademia delle Scienze di Parigi e dell’Accademia svedese delle Scienze.
Morì a Londra e fu sepolto a Farnborough nel Kent. A Westminster Abbey una lapide lo ricorda con un epitaffio scritto dal suo allievo e biografo Hudson Gurney.