Subrahmanyan Chandrasekhar (‘Chandra’)
Terzo dei dieci figli di un funzionario governativo delle ferrovie (Lahore era sotto la dominazione britannica), tradizionalista indiano di casta Bramina, e di una intellettuale che aveva tradotto in Tamil drammi di Ibsen e Tolstoi, ricevette la prima istruzione in casa e a dodici anni, dopo il trasferimento della famiglia a Madras, in India, frequentò una scuola superiore indù. Si iscrisse all’università nel 1925 e, sebbene il padre lo volesse ingegnere civile per seguire la sua stessa carriera, preferì lo studio della matematica e fisica determinato a diventare scienziato, come lo zio Sir Chandrasekhara Raman, che otterrà il Premio Nobel del 1930 per la scoperta dello scattering Raman e dell’effetto Raman.
Durante i suoi studi lesse da solo il trattato di Sommerfeld Atomic Structures and Spectral Lines e quando nel 1928 lo stesso Sommerfeld tenne lezioni a Madras volle incontrarlo e allora scoprì la nuova meccanica quantistica, che studiò a fondo e, già nel 1929, applicò al suo primo lavoro sull’effetto Compton, che fu pubblicato dalla Royal Society grazie al parere favorevole di R. H. Fowler. Anche Heisenberg l’anno dopo visitò Madras e Chandra ebbe lunghe discussioni con lui sulla nuova meccanica statistica.
Nel 1930 si laureò in fisica con la massima votazione e ottenne una borsa di studio dal governo per il dottorato in Inghilterra che decise di frequentare a Cambridge, al Trinity College, per studiare col prof. R. H. Fowler.
È noto che nel lungo viaggio per nave fino a Venezia, per raggiungere poi in treno l’Inghilterra, studiò la stabilità delle nane bianche applicando la statistica quantistica e calcolando il limite superiore per la massa di una stella candidata a diventare una nana bianca. A Cambridge frequentò E. A. Milne e P. A. M. Dirac, quindi su invito di Max Born passò l’estate del 1931 a Gottinga dove conobbe Biermann, Teller, Brillouin e riincontrò Heisenberg. In una fase di frustrazione e incertezza sulle scelte da fare, attratto dall’astrofisica ma ritenendola marginale rispetto alla fisica teorica pura, su consiglio di Dirac passò il terzo anno del suo dottorato a Copenhagen all’Istituto di Fisica Teorica di Bohr. Favorito anche dal clima informale di casa Bohr e dalle amicizie strette con Victor Weisskopf, Leon Rosenfeld, Max Delbrück e altri, ritrovò l’entusiasmo e decise che la sua strada sarebbe stata l’astrofisica teorica.
Nel 1933 ottenne il Ph.D. e vinse il concorso come ‘fellow’ del Trinity College. Alle riunioni della Royal Astronomical Society, seppure in seconda fila, cominciò a conoscere i decani della ‘prima fila’ come Sir Arthur Eddington, Sir James Jeans, e l’astronomo reale Sir Frank Dyson.
Nel 1934 visitò l’Unione Sovietica incontrando Lev Landau e Victor Ambartsumian che apprezzarono i suoi lavori sulle nane bianche invitandolo a rivederli effettuando un calcolo meno approssimato. Affrontò il grande lavoro necessario con l’aiuto di una calcolatrice meccanica e nel 1935 presentò i suoi risultati alla Royal Astronomical Society. Nella sua comunicazione dimostrò che una stella di massa superiore a circa 1.4 volte quella solare (ora noto come limite di Chandrasekhar) dovrebbe continuare a collassare in un oggetto di enorme densità, un buco nero, ignoto all’epoca. Nella successiva comunicazione Eddington, che aveva seguito i progressi nei calcoli di Chandra senza mai commentarli, affermò che il lavoro dimostrava, per assurdo, solamente che la teoria usata era sbagliata, perché ‘le stelle non si comportano così’. Nessuno ebbe il coraggio di chiedergli come faceva a sapere come si comportano le stelle, perché Eddington era allora il maggiore esperto di relatività generale e di evoluzione stellare ed era anche molto egocentrico. Ne nacque un’aspra polemica che turbò molto Chandra, anche perché in varie occasioni gli fu rifiutata la parola in replica.
Durante una visita ad Harvard nel 1936 Otto Struve gli offrì un posto all’Università di Chicago, dove si trasferì nel 1937 e rimase per sempre. Prima di trasferirsi tornò in India dove sposò la compagna di università Lalitha Doraiswamy. Il loro fu un matrimonio voluto e non combinato, un’eccezione per i costumi indiani, e Lalitha fu per lui un costante sostegno per i restanti cinquantanove anni, rinunciando ad una carriera propria. Non ebbero figli.
Il suo lavoro si svolse all’inizio all’Osservatorio Yerkes nel Wisconsin poi al campus dell’Università di Chicago e, durante la guerra, al Laboratorio di ricerca balistica nel Maryland, non senza difficoltà per la sua pelle scura, ma si integrò bene nella società americana, meno formale e gerarchica rispetto all’ambiente inglese.
Nel 1952 passò al Dipartimento di Fisica e all’Istituto di Studi Nucleari, su invito di Enrico Fermi, e divenne Professore Ordinario. Solo allora, dopo 15 anni di residenza, lui e la moglie decisero di chiedere la cittadinanza americana, deludendo definitivamente il padre che considerò sempre un tradimento l’abbandono delle radici culturali nazionali. Quando poi nel 1964 gli fu offerta una prestigiosa cattedra a Cambridge rifiutò quel posto che da giovane avrebbe desiderato più di ogni altro.
Nella sua vastissima attività scientifica (pubblicò più di 400 lavori e molti importanti trattati, manuali e altri libri) passò attraverso diversi campi di interesse che man mano attiravano la sua attenzione e nei quali, dopo essersi formato una propria opinione, lasciò la sua impronta: la struttura delle stelle, compresa la teoria delle nane bianche (1929-1939); la dinamica stellare (1938-1943); la teoria dell’irraggiamento stellare e delle atmosfere stellari e planetarie (1943-1950); la stabilità idrodinamica e idromagnetica del plasma (1952-1961); la stabilità e l’equilibrio di ellissoidi rotanti formati da fluidi incomprimibili (problema che risaliva a Newton stesso, affrontato da Mac Laurin, Riemann, Dedekind, Dirichlet e altri, 1961-1968); la relatività generale e l’astrofisica relativistica (1968-1971); la teoria matematica dei buchi neri (1974-1983) e nell’ultimo periodo l’interazione di onde gravitazionali (con Valeria Ferrari).
Dal 1952 al 1971 fu Direttore dell’Astrophysical Journal, che portò a diventare la maggior rivista internazionale di astrofisica, da una rivista interna dell’Università di Chicago quale era. Si dedicò anche con grande impegno all’insegnamento, seguendo attentamente ed incoraggiando con incontri almeno settimanali quasi un centinaio di dottorandi, molti dei quali diventeranno astrofisici famosi.
‘For his theoretical studies of the physical processes of importance to the structure and evolution of the stars’, secondo la motivazione ufficiale, ottenne il Premio Nobel del 1983, per i suoi lavori di 50 anni prima.
Ebbe la medaglia Royal della Royal Society nel 1962 e la medaglia Copley nel 1984 per i suoi eleganti lavori di astrofisica matematica, spesso elogiati per la loro chiarezza, nonostante la difficoltà degli argomenti.
In pensione dal 1980 continuò a lavorare nella ricerca e a tenere conferenze. Fu anche chiamato nel 1982 a tenere la commemorazione per il centenario della nascita di Eddington, il suo ex amico-nemico, e lo definì ‘il più grande astrofisico del proprio tempo’ anche se criticò puntualmente il suo personalissimo pensiero sulla scienza. Nell’ultimo periodo di vita, per i suoi lavori nel campo della relatività generale e stabilità, si accostò allo studio approfondito di Newton e ne risultarono conferenze e libri anche provocanti come Newton and Michelangelo oppure Shakespeare, Newton and Beethoven oppure La percezione della bellezza e gli scopi della scienza (in Truth and Beauty: Aesthetics and Motivations in Science, University of Chicago Press, 1990). Il suo ultimo libro, Newton’s Principia for the Common Reader fu terminato pochi mesi prima della morte, quando aveva 85 anni.
La NASA battezzò col suo nome il suo terzo osservatorio spaziale, il ‘Chandra-X ray Observatory’ messo in orbita dallo Shuttle Columbia il 23 luglio del 1999.