Nicola Cabibbo
Figlio di un avvocato, appassionato di filosofia che frequentava Giovanni Gentile, e di una casalinga, entrambi di origini siciliane – lui di Ragusa e lei di Riposto – i quali poi si trasferirono a Roma. Visse l’infanzia durante la seconda guerra mondiale. Degli anni dell’istruzione scolastica, che era garantita anche nella Roma occupata, ricordava con piacere le elementari mentre odiava il liceo, al Tasso, che non lo interessava anche se andava bene in tutte le materie.
Aveva curiosità scientifica e passione per libri di divulgazione e di fantascienza, ma anche interesse per la filosofia e per le esplorazioni polari, un’altra delle passioni del padre, e con un amico che era radioamatore costruì anche una stazione radio.
Nel 1952 si iscrisse a Fisica, perché la Fisica allora era la regina assoluta delle scienze, con la scoperta e il dominio del mondo nucleare, ed ebbe come insegnanti Edoardo Amaldi ed Enrico Persico, che apprezzava per chiarezza, ma anche il matematico Gaetano Fichera e i giovani del gruppo di Amaldi, come Carlo Franzinetti e Carlo Castagnoli.
Decise di fare la tesi in fisica teorica, ma Bruno Ferretti si era trasferito a Bologna e non c’era un professore di Fisica Teorica, quindi insieme a Francesco Calogero e Paolo Guidoni si rivolse a Bruno Touschek, che non era professore ma aveva un contratto con l’INFN, che assegnò loro una unica tesi sulle interazioni deboli, da dividersi in tre.
Nel 1958 si laureò, con una tesi sul decadimento dei muoni, e divenne subito ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare prima presso la sezione di Roma e poi dal 1960 al 1962 ai laboratori nazionali di Frascati, iniziando a collaborare con un giovane assistente appena tornato dagli Stati Uniti, Raoul Gatto.
Durante la sua permanenza ai laboratori nazionali, quando Touschek propose l’idea di un anello di accumulazione di elettroni e positroni, cominciarono a calcolare sezioni d’urto e finirono per fare un elenco completo di tutto quello che si può fare con quella macchina. L’articolo, pubblicato nel 1961, che i colleghi definivano la "Bibbia", conteneva i calcoli teorici di tutte le sezioni d’urto dei processi di annichilazione e+ e– allora ipotizzabili (N. Cabibbo, R. Gatto. “Electron-Positron Colliding Beam Experiments”, Physical Review, 124 (1961), 5, 1577-1595) .
Quando Gell-Mann e Ne’eman nel 1961 proposero la simmetria SU(3), insieme con Gatto cominciarono a cercare una applicazione al calcolo del decadimento del mesone η 0 che si stava studiando a Frascati con AdA.
Subito dopo si recò a Ginevra al CERN dal 1962 al ’63 e nel ’63 si sposò con Paola, docente di letteratura americana contemporanea all’Università di Roma, dalla quale ebbe il figlio Andrea.
Nello stesso anno si recò al Lawrence Radiation Laboratory di Berkeley in California e poi ritornò al CERN.
Durante questo periodo affrontò il problema della differenza notevole tra il decadimento beta del neutrone e delle particelle strane, risolto ipotizzando un mescolamento tra l’interazione debole e quella forte (Cabibbo mixing) regolata da un angolo: l’angolo di Cabibbo. I valori del seno e del coseno di quest’angolo erano utilizzati per stabilire la probabilità che una particella strana si trasformasse in una particella non strana interagendo con un’altra particella per mezzo della forza debole.
Il lavoro (N. Cabibbo. “Unitary Symmetry and Leptonic Decays”, Physical Review Letters, 10 (1963), 12, 531-533) , considerato nel 2006 come il più citato di tutti i tempi tra le pubblicazioni dell’American Institute of Physics, aprì la strada alla comprensione delle interazioni deboli. Sfruttando anche la spiegazione proposta da Cabibbo, Gell-Mann ipotizzò l’esistenza dei quark, up, down, strange e previde che essi potessero presentarsi in 3 differenti ‘colori’ e in differenti ‘sapori’. Il modello a quark fu immediatamente sfruttato per proporre l’esistenza di un quarto quark (il quark charm) da Sheldon Lee Glashow, Luciano Maiani e John Iliopoulos nel cosiddetto meccanismo GIM.
Nel 1973 Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa hanno proposto una generalizzazione multidimensionale del modello dell’angolo di Cabibbo, dalla quale è stato possibile prevedere l’esistenza di sei differenti tipi di quark (con la terza famiglia di quark: top e bottom), introducendo la matrice CKM (Cabibbo-Kobayashi-Maskawa), che utilizza nove parametri per calcolare quanta probabilità abbia ciascun quark di diventare un qualsiasi altro quark durante un processo di interazione debole. Grazie alla matrice CKM è stato possibile spiegare la violazione della simmetria CP.
Nel 1965 vinse il concorso a cattedre di Fisica Teorica e dopo un anno a L’Aquila si trasferì a Roma alla Sapienza dove restò fino al 1982, quando si spostò all’Università di Roma Tor Vergata. Nel 1993 tornò alla Sapienza come professore di Fisica delle Particelle Elementari.
Durante questi periodi si recò spesso all’estero per ricerca e per incarichi di insegnamento, all’Institute for Advanced Study di Princeton (dal 1970 al 1973), e alle università di Parigi (1977-1978), New York (1980-1981), Syracuse (1986-1992) e nuovamente al CERN (2003-2004). Per questo suo continuo spostarsi per il mondo si definiva un cittadino del mondo, ma non dimenticava tuttavia la città ove nacque e in particolare il suo quartiere, dove ha vissuto fino alla morte a poche centinaia di metri dalla sua casa natale.
Negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso si interessò ancora di fisica delle particelle, seguendo l’evoluzione del modello standard e facendo proposte nell’ambito della teoria delle stringhe.
Nell’ultimo periodo si interessò ai problemi della QCD (quantocromodinamica) su reticolo e, in quest’ambito, collaborò con il progetto APE100 (e il successivo APEnext del 2005), che utilizzava supercomputer per permettere di svolgere simulazioni e calcoli di fisica teorica, e di cui diresse la realizzazione. Infatti per studiare il comportamento di sistemi di quark legati, cioè di adroni o mesoni, in QCD è necessario ricorrere a una serie complessa di calcoli, e per farlo si utilizzano computer che simulano lo spazio definendo un reticolo di punti tridimensionale e calcolano il valore delle funzioni necessarie ai calcoli di QCD in ognuno di questi durante l’evoluzione del sistema. I risultati delle simulazioni vengono poi confrontati con i dati sperimentali in modo da ricavare informazioni sull’effettiva rispondenza dei modelli alla realtà fisica.
Oltre al suo impegno accademico è stato presidente dell’INFN dal 1985 al 1993, sotto la sua presidenza sono stati inaugurati i Laboratori nazionali del Gran Sasso, e in seguito presidente dell’ENEA dal 1993 al 1998.
È stato socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei ed era uno dei soli 4 scienziati italiani viventi a essere membro della Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti d’America, insieme ai Nobel Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia e al suo allievo Giorgio Parisi. È stato membro della SIF e dell’EPS e presiedeva il consiglio scientifico dell’Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics (ICTP) di Trieste.
Infine, dal 1986 è stato membro e dal 1993 presidente della Pontificia Accademia delle Scienze. In questa veste di scienziato credente è intervenuto spesso e con grande equilibrio su problemi etici ed epistemologici e sui rapporti tra scienza e fede e ha tenuto la prolusione per il Giubileo degli scienziati.
Tra le onorificenze ricevute, quella di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana (1993), la Medaglia d’oro ai benemeriti della scienza e cultura (1998), due volte il Premio della cultura della Presidenza del Consiglio dei ministri (1989 e 1999), il Premio Francesco Somaini (1973), il Premio Nazionale del Presidente della Repubblica Italiana dell’Accademia dei Lincei (1973), il Premio Sakurai della American Physical Society per ‘i suoi elevati contributi nel chiarire la struttura delle correnti deboli adroniche’ (1989), il Premio della Società europea di fisica per la ‘teoria delle interazioni deboli che ha portato al concetto di mescolamento dei quark’ (1991), la Medaglia Matteucci dell’Accademia nazionale dei XL (2002), il Premio Enrico Fermi della Società Italiana di Fisica ‘per la sua teoria del miscelamento dei quark nei decadimenti deboli, in cui svolge un ruolo fondamentale il noto parametro detto angolo di Cabibbo’ (2003), il Premio Dirac dell’ICTP (2010) e nel 2011 la Benjamin Franklin Medal, assegnata postuma.
Nel 2008 il Premio Nobel per la Fisica viene assegnato a Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa senza alcuna menzione alle ricerche di Cabibbo, nonostante i suoi lavori avessero gettato le basi per i due giapponesi. Fra la grande sorpresa dei fisici, soprattutto italiani, nell’apprendere la decisione, lui con grande maturità e finezza non volle mai commentare l’accaduto.
Oltre ad essere stato uno scienziato straordinario è stato anche un uomo dagli ampi interessi culturali. Durante gli anni successivi alla seconda guerra mondiale sviluppò una passione per la letteratura americana e, per questa ragione, frequentava regolarmente la biblioteca dell’ambasciata degli Stati Uniti d’America per prendere libri a prestito.
Altra sua grande passione era il mare e la sua barca a vela ‘Panda’, anche se dovette limitare il tempo ad essa dedicato, con suo grande ricrescimento, per la mancanza di un valido porto vicino a Roma.
Roberto Petronzio, uno dei suoi tanti allievi, ricorda di lui la grande calma che gli era propria, la lentezza creativa che gli permetteva di riflettere sempre a lungo su tutto e di trovare le soluzioni migliori. Che a volte erano anche rapide. I suoi allievi a volte passavano ore intere per cercare una soluzione a un problema: lui passava da loro nel tardo pomeriggio e trovava il modo di aiutarli a risolvere tutto.
I soci AIF ricordano il suo intervento alla giornata in onore di Edoardo Amaldi in occasione del Congresso di Roma del 2008.
La scienza mira a fornire un’immagine del mondo priva di ombre. È vero, ma nel disperdere una ad una le ombre se ne svelano di nuove, cosicché lo scienziato si trova perennemente — e in questo non è differente dal letterato o dall’artista — a vivere nella zona di confine tra luce ed ombra. Zona di confine ben rappresentata dai “Concetti Spaziali” di Lucio Fontana, quadri in cui un taglio su una tela bianca suggerisce l’esistenza di un mondo ulteriore i cui dettagli restano da scoprire. Nelle parole del celebre esploratore Giuseppe Tucci “la scienza, sappiamo, è continuo trascolorare del certo nel dubbio, ed ogni suo avanzamento si misura non dalla luce che esso fa, quanto piuttosto dal maggior rilievo delle zone d’ombra che viene additando”. (Da un’intervista a Nicola Cabibbo)