Giuseppe Colombo
Nacque da una famiglia appartenente alla piccola borghesia artigianale milanese, il padre era orafo. Sin da giovane si sentì attratto dal mondo tecnico-scientifico che sembrava aprire all’umanità nuove strade di conoscenza e di successi, insieme all’insofferenza per il dominio austriaco. Diplomatosi a pieni voti al liceo S. Alessandro di Milano, a 17 anni si iscrisse all’Università di Pavia, al corso di ingegnere-architetto, ed ebbe come insegnanti Francesco Brioschi, docente di matematica applicata, e Giovanni Codazza, docente di meccanica applicata, di cui divenne assistente a soli 19 anni.
Laureatosi a soli vent’anni, fu nominato professore di geometria e meccanica presso la Scuola d’Incoraggiamento Arti e Mestieri di Milano, dove iniziò la carriera di docente che in diversi modi continuò per tutta la sua vita.
Insegnando in questa scuola, nata per iniziativa della borghesia industriale milanese con lo scopo di creare uno stretto contatto fra sapere scientifico e realtà produttive, rivelò le sue doti naturali di comunicatore ed ebbe le prime occasioni di contatti col mondo industriale internazionale (tramite viaggi e visite a fabbriche, scuole, mostre), dal quale riportare idee e proposte per la realtà lombarda.
Nel 1865 divenne titolare della cattedra di Meccanica ed Ingegneria Industriale presso l’Istituto Tecnico Superiore di Milano, fondato nel 1863 da Brioschi, per la crescente esigenza di formazione di ingegneri di indirizzo industriale e già dai primi anni indicato come Politecnico per i diversi studi di ingegneria che comprendeva. Preceduto solo di qualche anno dalla Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri, fondata a Torino nel 1859, fu il primo istituto universitario italiano per ingegneri industriali. Ebbe inizialmente sede in via Senato, nell’antico palazzo del Collegio Elvetico. Nel 1866 si trasferì in piazza Cavour dove rimase fino al 1927, quando fu costruita la nuova sede del Politecnico, in p.za Leonardo da Vinci.
Subito Colombo divenne l’animatore della specializzazione in ingegneria meccanica, un indirizzo di studi per il quale, fino a quel momento, gli studenti italiani avevano dovuto rivolgersi all’estero, assumendo gradualmente incarichi sempre più importanti nel Politecnico, dove avrebbe continuato a insegnare fino al 1911.
Stimato e seguito dai giovani per l’efficacia delle sue lezioni e per l’entusiasmo che sapeva comunicare, non solo dalla cattedra ma anche nelle frequenti visite a impianti e fabbriche nelle quali amava guidare gli studenti, fu maestro di una foltissima schiera di ingegneri e futuri imprenditori, tra i quali l’imprenditore nel campo della gomma Giovan Battista Pirelli, il pioniere dell’aviazione italiana Enrico Forlanini e il futuro direttore della Edison Giacinto Motta.
Seppe inoltre trasferire le sue conoscenze anche fuori dalle aule universitarie; per oltre dieci anni, dal 1870 al 1880, le sue conferenze serali nell’aula della Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri intorno ad argomenti di attualità di meccanica, elettricità e termodinamica, attirarono un pubblico attento e numeroso, di tutti i ceti sociali.
Fu collaboratore e poi direttore della rivista tecnica “L’industriale”, pubblicata dal 1871 al 1877. Per l’editore Ulrico Hoepli scrisse il Manuale dell’Ingegnere Civile ed Industriale (più familiarmente Il Colombo) che, pubblicato nel 1877, è stato per decenni, con numerosissime riedizioni ed aggiornamenti, la guida pratica di generazioni di ingegneri.
La sua carriera di imprenditore fu tutta legata alla nascita dell’industria elettrica in Italia. Nel giugno del 1881, in occasione della grande Esposizione Nazionale di Milano, la Galleria Vittorio Emanuele venne illuminata con 25 potenti lampade ad arco della Siemens. Nell’autunno dello stesso anno si costituì, per opera di Colombo e con il sostegno finanziario di importanti banche milanesi, il Comitato Promotore per le Applicazioni dell’Energia Elettrica in Italia, futura Società Generale Italiana Edison di Elettricità, che si sarebbe costituita definitivamente nel 1884, divenendo in breve, dopo qualche iniziale difficoltà, la principale azienda elettrica italiana.
Nel 1881, alla “Mostra Internazionale dell’Elettricità” di Parigi, aveva trattato con la società fondata da Thomas Alva Edison per ottenere l’esclusiva del sistema Edison in Italia. Si recò da Edison a New York nel 1882, partecipando all’inaugurazione della prima centrale elettrica al mondo, che si stava costruendo in Pearl Street e definendo con l’inventore americano il progetto di una centrale elettrica da costruire a Milano.
Sotto la sua guida, con l’aiuto di John Lieb, uno dei più stretti collaboratori di Edison, fu costruita a Milano, nella centrale via Santa Redegonda, la prima centrale elettrica dell’Europa continentale inaugurata il 28 giugno 1883.
L’energia elettrica prodotta veniva distribuita in una piccola zona fra il Duomo, la Galleria e la Scala; gli utenti principali furono i locali eleganti ed i teatri, gli unici disposti a pagare il doppio di quello che allora costava l’equivalente illuminazione a gas.
Qui lavorarono alcuni dei più valenti ingegneri elettrotecnici italiani, che Colombo scelse fra isuoi migliori laureati del 1882-83; fra questi Giacinto Motta, che ebbe in seguito un ruolo di primo piano nello sviluppo del sistema elettrico lombardo, come progettista degli impianti idroelettrici della Valtellina e poi come direttore della Edison.
Fino allora si era tenuto al di fuori da impegni politici diretti anche se non era stato indifferente nei riguardi delle grandi vicende della formazione dell’Italia, arruolandosi come volontario nella Seconda Guerra d’Indipendenza del 1859 e poi alla guerra del 1866 nei volontari garibaldini.
In gioventù aveva simpatie mazziniane al punto di essere andato a trovare Mazzini a Londra, nel 1861, durante uno dei suoi primi viaggi all’estero. Si era comunque presto accostato agli ambienti liberali moderati milanesi del salotto della contessa Maffei e del “Circolo Popolare Milanese”. Fu proprio nell’ambito di questo circolo che, nel 1886, maturò la sua candidatura a deputato del Parlamento italiano, al quale fu eletto con quasi 8000 voti, dopo un’esperienza nel Consiglio Comunale di Milano.
Le sue idee politiche erano coerenti con i suoi interessi e con la sua formazione tecnica. In un discorso del 1890 si definiva un conservatore moderno, cioè un vero progressista illuminato, che studia con metodo scientifico i problemi sociali, onde condurre la società senza scosse attraverso le evoluzioni che il continuo mutarsi delle condizioni materiali richiede. Fu anche favorevole ad un graduale riassetto dello Stato di tipo autonomistico, che era mancato dopo l’unità d’Italia.
Dopo un primo mandato da deputato passato all’opposizione del governo Crispi, che giudicava inadatto a raggiungere il rafforzamento della situazione economica e accusava di volere raggiungere obbiettivi di mero prestigio, specialmente con costose avventure militari, fu rieletto con larghi suffragi per una seconda volta e fu chiamato a reggere il Ministero delle Finanze nel primo governo Di Rudinì.
Non esitò dopo poco più di un anno a dare le dimissioni per coerenza, per non venir meno alla promessa fatta ai suoi elettori di non applicare nuove tasse (cose davvero d’altri tempi!), anche se conscio di favorire indirettamente il ritorno al governo dei suoi avversari.
Fu contrario alle avventure coloniali italiane della fine del diciannovesimo secolo: agli avversari che lo accusavano di una visione “casalinga”, incapace di vedere ciò che le maggiori potenze europee stavano facendo in campo militare, Colombo mostrava, cifre alla mano, l’incidenza delle spese militari sul bilancio pubblico e l’incongruità del militarismo italiano. In un discorso del 1894 affermava: noi non possiamo seguire l’Europa in quella grande follia che sottrae permanentemente quattro milioni di giovani e cinque miliardi di denaro alla produzione. Speriamo che l’Europa rinsavisca, ma intanto cominciamo a rinsavire noi, che abbiamo tanto bisogno di braccia e di capitali per sviluppare la nostra ricchezza interna.
Dopo la catastrofe militare di Adua, ritornò come Ministro del Tesoro nel secondo governo Di Rudinì nel 1896. In seguito ricoprì altri incarichi importanti come quello di Presidente della Camera nell’anno 1899.
Battuto nel suo collegio milanese alle elezioni del 1900 dal candidato socialista, dopo pochi mesi fu nominato Senatore (per diretta scelta di Vittorio Emanuele III) e continuò a ricoprire incarichi di prestigio, e a prodigarsi in favore dei due settori dell’industria elettrica e degli studi tecnici, che gli stavano sempre molto a cuore.
Nel 1896 divenne presidente della società elettrica Edison, e nel 1897 divenne rettore del Politecnico di Milano (alla morte di Brioschi) fino al 1921, anno della sua morte. Sempre nel 1897 fu nominato presidente del collegio degli ingegneri e degli architetti e più tardi nel 1909 del Credito Italiano.
Oltre alla scienza ed alla tecnica, ebbe molti altri interessi intellettuali: amante della musica (fu decano degli abbonati alla Scala) e della letteratura, fu anche un discreto pittore, particolarmente attratto dai paesaggi dei laghi lombardi, dove amava soggiornare appena libero da impegni, aveva infatti acquistato dal conte Porro, verso il 1884, una bella villa a Carate Urio, sul lago di Como.
Fu anche grande camminatore, alpinista, buon rematore ed amante del ciclismo. Anche negli ultimi anni faceva lunghe escursioni per i monti e crociere in motoscafo, e anche per questo accettò di divenire Consigliere del Touring Club di Milano.
Si era sposato nel 1868 con Carolina De Luigi, nipote colta e graziosa del naturalista Emilio Cornalina, che aveva conosciuto nel salotto Maffei e di cui era divenuto grande amico. Abitavano in un appartamento di un elegante stabile a pochi passi dal palazzo Maffei; qui crebbero le loro due figlie. La maggiore, Federica, che era andata sposa al conte Giuliano Corniani di Brescia morì improvvisamente durante il viaggio di nozze in Spagna. Dopo qualche anno la figlia minore, Amalia, si sposò con il vedovo cognato, ed ebbe tre nipoti molto amati da Colombo, particolarmente il primogenito Alessandro che fece brillanti studi di ingegneria e sarà un dirigente dell’industria idroelettrica.
Morì improvvisamente, nella sua casa di via Monte Napoleone 22, per un attacco cardiaco, lui che in 84 anni non era mai stato ammalato. Sulla sua tomba al Cimitero Monumentale di Milano si possono leggere queste parole del suo amico Edison:
…appartiene alla categoria di quelle nature serie, destinate a lasciare una impronta personale ovunque si trovino e qualunque cosa facciano. Come certi eroi di Charles Dickens, Colombo può dire: I fatti, signori miei, non sono altro che i fatti.