Giovanni Boato
II padre Natale Alberto, di Dolo (Venezia), era perito industriale; aveva partecipato come ufficiale alla Prima Guerra mondiale ed era invalido ad una mano per una grave ferita subita sull’altipiano di Asiago. Prima della guerra era tecnico alla ‘Mira’, antica fabbrica di candele con sede in Mira (VE) e dopo la guerra fu nominato direttore tecnico del nuovo stabilimento della saponeria ‘Mira Lanza’ a Roma. La madre Rita Candusso, triestina, era maestra elementare, aveva frequentato una scuola italiana quando Trieste era ancora austroungarica e conosceva bene il tedesco. Entrambi i genitori amavano la musica operistica, appassionati di Verdi e di Wagner, e la letteratura italiana. Il fratello minore, Piero, diverrà ingegnere chimico.
Da giovane Giovanni (chiamato in famiglia e dagli amici Gianni) amava i giochi all’aperto e la natura, frequentava il laboratorio chimico della ‘Mira Lanza’ e si dedicava con molto impegno al ‘Meccano’ e al traforo. Molto diligente, curioso e studioso, saltò la prima elementare, ma nonostante gli sforzi materni non riuscì ad imparare il tedesco.
Rimase a Roma fino a 15 anni, finì il ginnasio al Collegio Nazareno, degli Scolopi. Tra gli insegnanti ricordava padre Luigi Pietrobono, noto cultore di Dante – di cui i genitori erano ammiratori ed amici – che aveva scritto un commento della Divina Commedia adottato in molte scuole.
Nel 1938 la famiglia si trasferì a Genova, dove il padre si impiegò presso la ditta ‘LoFaro’ e frequentò il Liceo classico ‘G. Mazzini’ di Sampierdarena per soli due anni (saltando la terza liceo); era brillante in latino, filosofia e nelle materie scientifiche, ma debole in italiano.
Al liceo incontrò un’ottima insegnante di scienze, Giuseppina Zanoni, poi titolare della cattedra di Botanica all’Università, che impiegava molto il laboratorio di chimica e lo studio diretto degli animali e delle piante, non insegnava assolutamente sui libri, spiegava la chimica facendo un esperimento dietro l’altro e preparando davanti a noi, con l’aiuto di un tecnico, tutti i principali elementi. Trovò anche eccellenti insegnanti di italiano, filosofia e greco, invece ricordava l’insegnante di fisica come piuttosto scarsa.
Nel 1941 si iscrisse al corso di laurea in Chimica e siccome trovava i corsi di Matematica del primo biennio di livello basso, sostituì i quattro esami di matematica previsti con i corrispondenti esami del biennio di Matematica-Fisica. Negli ultimi tre anni seguì contemporaneamente due corsi di laurea e quando si laureò in Chimica, nel luglio ’46, gli mancava solo l’esame di Fisica teorica per laurearsi in Fisica.
Il professore di Chimica Generale, Luigi Rolla, gli consigliò lo studio della termodinamica sul testo di Planck, allora disponibile solo nella versione originale tedesca, e lui lo tradusse in italiano per suo uso. Il docente di Fisica sperimentale e Fisica superiore era Augusto Occhialini, il padre di Giuseppe. Il docente di Fisica matematica e di Fisica teorica era Paolo Straneo; la trattazione della Meccanica quantistica allora era all’acqua di rose. Non l’ho mai imparata bene; l’ho studiata per conto mio sul Pauling e Wilson, dirà più tardi.
Nel gennaio 1947, grazie ad una borsa di studio della Montecatini offertagli da Edoardo Amaldi, si trasferì a Roma dove sostenne l’esame di Fisica teorica con Bruno Zumino. Per la tesi di laurea in Fisica iniziò a lavorare con lo stesso Amaldi, costruendo una camera a ionizzazione a trifluoruro di boro per la rivelazione dei neutroni, che funzionava, ma non si dimostrò adatta agli scopi previsti. Passò allora a collaborare con Mario Ageno sul doppio decadimento β del rubidio: un anno di lavoro inutile perché il risultato apparentemente positivo risultò errato. La tesi di laurea venne poi svolta sul bilancio termico della Terra, tenendo conto dei risultati sperimentali sull’abbondanza isotopica del potassio 40 e dell’argon 36; relatore fu Enrico Persico.
Durante l’esperienza romana, durata fino al 1952, interagì principalmente con Giorgio Careri, per completare la costruzione di uno spettrometro di massa, eseguire misure di abbondanze isotopiche in natura, studiare la cinetica della reazione di scambio idrogeno-deuterio in fase gassosa e costruire un impianto di separazione isotopica.
Nel 1952 partì per gli Stati Uniti, con una borsa Fulbright, per lavorare a Chicago all’Institute for Nuclear Studies, fondato nell’immediato dopoguerra da Enrico Fermi, nel laboratorio di Harold C. Urey, illustre chimico-fisico, scopritore del deuterio, che aveva conosciuto tramite Amaldi in occasione di una sua visita a Roma. Qui si occupò di misure di abbondanze isotopiche e del loro uso per la comprensione di importanti fenomeni naturali.
A Chicago entrò in contatto con molti famosi scienziati, oltre a Urey, Willard Libby, Joseph E. Meyer, Valentin Telegdi, ma soprattutto Enrico Fermi: lui e la moglie Laura ogni tanto mi invitavano, insieme ad altri amici italiani; erano molto cordiali … con Fermi non era facile avere rapporti umani molto stretti … aveva una cultura enciclopedica, ma era meglio non parlare di politica … si era sopraffatti dal suo enorme sapere.
Fermi era l’organizzatore del seminario del giovedì, aperto, interdisciplinare, frequentato da fisici, chimici e biofisici; non era mai annunciato il titolo e per frequentarlo occorreva avere almeno il titolo di Research associate. Spesso succedeva che, se nessuno era pronto, era Fermi che faceva lezione e aveva sempre qualcosa di nuovo da raccontare.
Rientrò a Roma all’inizio del 1954, ma Ettore Pancini, che aveva avuto la cattedra di Fisica sperimentale a Genova, gli aveva scritto in America, offrendogli un incarico di insegnamento e promettendogli presto anche un posto di assistente. Decise quindi di ritornare a Genova, dove ottenne di poter gestire autonomamente un proprio laboratorio di ricerca, per la costruzione di spettrometri di massa e per lo studio dei frazionamenti isotopici. Il suo gruppo si perfezionò nelle tecniche di alto vuoto, nelle quali Genova divenne un posto di eccellenza.
Presto vinse il concorso di assistente, insegnava Fisica sperimentale e diventò capogruppo di ricerca nel settore Fisica molecolare e Fisica dei metalli.
Dopo aver completato, negli anni 1955-‘62, una serie di ricerche sul frazionamento isotopico, in collaborazione con Maria Emilia Vallauri (che diventò poi sua moglie), Giacinto Scoles, Gualtiero Casanova e Andrea Levi e dopo aver frequentato l’eccellente Scuola di Varenna del 1957 sulla Fisica dello stato solido (diretta da Fausto Fumi), decise di dedicarsi a quest’ultimo campo di ricerca.
Dal 1960 al ‘68, con l’aiuto di collaboratori sperimentali, tra cui Gaetano Gallinaro e Mario De Paz, si occupò di esperimenti sulle proprietà di trasporto dei gas rari solidi, sui superconduttori di II tipo, sui momenti magnetici localizzati nei metalli. Per effettuare queste ricerche venne costituito un laboratorio di basse temperature, con l’uso dell’elio liquido; secondi in Italia dopo Frascati.
I suoi principali collaboratori di quegli anni furono Giacinto Scoles, in seguito professore a Princeton e Carlo Rizzuto, creatore e primo Presidente dell’INFM (Istituto Nazionale di Fisica della Materia), ora entrambi al Sincrotrone Elettra di Trieste.
Nel 1964 ottenne la cattedra di Fisica dello Stato Solido come professore straordinario; nello stesso anno il CNR, sollecitato da numerosi ricercatori nel campo della Struttura della Materia, costituì il Gruppo Nazionale di Struttura della Materia (GNSM) che elesse Presidente Gianfranco Chiarotti e nel Consiglio Direttivo Franco Bassani, Giovanni Boato, Roberto Fieschi, Luigi Giulotto, Adriano Gozzini e Giorgio Montalenti.
Nel ‘65 si recò per un anno sabbatico negli Stati Uniti, alla Rutgers University, per ricerche in superconduttività e sui momenti magnetici localizzati nei metalli.
Al ritorno si trovò coinvolto sempre di più nell’organizzazione nazionale della ricerca. Nel ’68 subentrò a Chiarotti come presidente del GNSM, e riuscì a farlo riconoscere come organo di ricerca del CNR, articolato in ventisette Unità di ricerca presso Istituti universitari e altri Enti di ricerca e in tre Laboratori: Laboratorio di Materiali Speciali per l’Elettronica (MASPEC) di Parma, Laboratorio di Fisica Atomica e Molecolare (LAFAM) di Pisa e Laboratorio di Elettronica dello Stato Solido (LESS) di Roma.
Durante il 1968 ebbe luogo a Genova, come in molte città universitarie italiane, la rivolta studentesca e Fisica fu un punto caldo delle contestazioni. L’edificio di Viale Benedetto XV ospitava l’Istituto di Fisica Sperimentale (nel ‘68 sotto la sua direzione), l’Istituto di Fisica Teorica diretto da Antonio Borsellino, l’Istituto di Fisica Superiore diretto da Augusto Gamba e l’Istituto di Struttura della Materia diretto da Giacomo Morpurgo. Nell’edificio era collocata anche la Sezione di Genova dell’INFN.
A causa di vivaci contrasti tra i quattro Direttori (Boato e Borsellino da una parte e Gamba e Morpurgo dall’altra) su come confrontarsi con le richieste studentesche, si arrivò ad uno stato di grave tensione interna, che culminò nel novembre con l’occupazione dell’edificio da parte degli studenti. Il Rettore Borlandi decideva prima lo sgombero e la chiusura dell’edificio, facendovi sospendere ogni attività, poi autorizzava la ripresa delle attività didattiche e scientifiche, e assumeva temporaneamente la direzione unitaria dell’Istituto. Alla fine venne istituito un unico Istituto policattedra di Scienze Fisiche (ISF), sopprimendo i quattro Istituti precedenti e nel ’70 Boato venne nominato presidente del Comitato di direzione di quello che, con notevole anticipazione sui tempi, era di fatto un ‘Dipartimento di Fisica’.
Terminato questo intenso periodo gestionale ebbe il modo di dedicarsi maggiormente alla ricerca, concentrandola sulla diffrazione di atomi e molecole da parte di superfici cristalline, campo sostanzialmente inesplorato dopo le esperienze di Otto Stern del 1930-‘33. L’uso congiunto di basse temperature e di ultra-vuoto e le capacità tecnologiche sviluppate nel corso degli anni condussero ad un rapido successo, con l’aiuto di Paolo Cantini, Mark J. Cardillo, Rodolfo Tatarek e Lorenzo Mattera.
Questi primi esperimenti, del 1973, furono seguiti da molti altri fino al giorno d’oggi, a Genova e poi in altre sedi, e furono lo stimolo per Peter Toennies e il suo gruppo di Göttingen a determinare, nel 1980, tramite lo scattering anelastico di atomi di elio, le curve di dispersione dei fononi di superficie.
Fu Direttore della Scuola di Dottorato in Fisica dal 1987 al 1990.
In occasione del trasloco dalla vecchia sede di Viale Benedetto XV al nuovo edificio di Valletta Puggia, nel 1983, venne ritrovato un notevole patrimonio di strumenti ottocenteschi di notevole interesse storico-scientifico. Prese l’incarico di classificare e riordinare questo materiale e sostenne l’idea di costituire un Museo di Fisica.
Gli strumenti vennero tutti catalogati e fu pubblicato un volume sugli strumenti ottocenteschi (G. Boato, G. Bruzzaniti. Strumenti nella fisica dell’Ottocento, Genova, Sagep 1993), mentre il Museo fu inaugurato nel 1991, in occasione della prima Settimana della Cultura Scientifica indetta dal MURST.
Sulla scia degli interessi storici in lui suscitati da queste iniziative, iniziò ad occuparsi di Storia della Fisica riguardante sia l’Ottocento che il Novecento, con Nadia Robotti, Giuseppe Bruzzaniti, e altri.
Nominato Professore Emerito, nella sua lunga attività didattica intorno a lui si sono formate molte generazioni di studenti, sia di Fisica, sia di Ingegneria, e di ricercatori, e i suoi studenti al termine delle lezioni del suo ultimo anno di servizio gli hanno consegnato una targa ricordo.
Nel 1998 gli fu conferita la medaglia d’oro di Benemerito della Scienza e della Cultura da parte del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica Luigi Berlinguer. La SIF lo ha nominato Socio Benemerito.
Nel 2010 il Dipartimento di Fisica dell’Università di Genova gli ha dedicato una giornata di ricordo e di studio e in quella occasione gli ha intitolato il Museo di Fisica.