Giorgio Salvini
Di agiata famiglia milanese, colpita dall’inflazione dei primi anni venti che provocò il crollo dell’industria paterna, anche a causa di una lunga malattia del padre, fu allevato dagli zii fino ai sette anni.
Conseguì il diploma magistrale e già a diciassette anni cominciò a insegnare nelle scuole elementari, studiando contemporaneamente per la maturità liceale e, ottenutala da privatista, si iscrisse a Medicina.
Le lezioni di Giovanni Polvani lo convinsero a passare a Fisica nel 1940, quando fu arruolato alla scuola del Genio a Pavia e poi come sottotenente ad Udine. Venne poi assegnato agli alpini, nella Divisione Julia sul fronte jugoslavo e, per circostanze fortunate, evitò di partecipare alla campagna di Russia.
Nei periodi di licenza tornava a Milano all’Università per sostenere gli esami e conseguì la Laurea in Fisica con lode nel 1942 con una tesi sul betatrone, iniziata con Giovanni Gentile jr. come relatore e, dopo la sua morte prematura, con Giovanni Polvani.
Il bombardamento di Milano dell’agosto del 1943 rase al suolo la casa della sua famiglia e i genitori vennero sfollati. Ottenne perciò una licenza per rientrare dal fronte, condizione che lo salvò dalla sorte drammatica di molti compagni rimasti in Jugoslavia dopo l’armistizio dell’8 settembre. Rifiutò di servire la Repubblica di Salò e tra il 1944 e il 1945 visse clandestinamente all’Istituto di Fisica, aiutato dai docenti Giovanni Polvani e Giuseppe Bolla e da due studentesse, tra cui la sua futura moglie Costanza Catenacci, che sposerà nel 1951 e dalla quale ebbe cinque figli, Paola, Francesco, Stefano, Giovanna e Pietro.
Nel 1946 fondò con Carlo Salvetti, Mario Silvestri e Giuseppe Bolla il CISE (Centro Informazioni Studi ed Esperienze), con lo scopo di promuovere la costruzione di un reattore nucleare.
Nell’immediato dopoguerra, grazie all’incoraggiamento di Vanna Tongiorgi, Bruno Ferretti e Gilberto Bernardini, si dedicò allo studio dei raggi cosmici, in particolare degli sciami estesi e degli sciami penetranti, collaborando con Guido Tagliaferri, Antonino Mura e Antonio Lovati e prendendo parte alle campagne di misura al Lago d’Inferno, vicino a Sondrio a 2100 m, e al laboratorio della Testa Grigia sul monte Cervino, a 3500 m.
Dal 1949 al 1951 continuò le sue ricerche negli USA, ospite dell’Università di Princeton, dove conobbe tra gli altri Enrico Fermi, Bruno Rossi e John Wheeler. Rientrato in Italia vincitore del concorso a cattedra a 31 anni, dopo un periodo alle università di Cagliari e di Pisa, fu chiamato nel 1955 a Roma, alla Sapienza, per iniziativa di Edoardo Amaldi.
Nel frattempo era stato coinvolto dallo stesso Amaldi e da Gilberto Bernardini a realizzare un’impresa che di lì a pochi anni avrebbe riportato la ricerca italiana in primo piano sul panorama internazionale della fisica delle particelle: la costruzione del primo Laboratorio Nazionale dell’INFN a Frascati e, al suo interno, di un potente acceleratore di elettroni, un elettrosincrotrone da 1100 MeV.
A trentatré anni fu nominato direttore del futuro laboratorio, per numerose valide ragioni, ma il fattore risolutivo fu così espresso da Bernardini: Quest’uomo è ‘stubborn’! (per caparbio, tenace fino all’ostinazione).
Grande determinazione e sicure capacità decisionali furono essenziali per guidare e coordinare la nascita dal nulla, in un terreno coltivato a pascolo e barbatelle, di un centro di ricerca dotato degli apparati più moderni, dall’impianto criogenico ai servizi di calcolo. Un centro che permettesse di ridurre il divario scientifico e tecnologico che si era creato durante la guerra tra l’Italia e gli USA.
Ricorda nella sua autobiografia: Perseguivamo un fine che era più importante di ciascuno di noi e dei nostri singoli punti di vista. Sentivamo il Paese come un’entità verso la quale eravamo responsabili e debitori.
Per costruire e mettere in funzione l’elettrosincrotrone si circondò di molti giovanissimi collaboratori, scelti, come scrisse, tra quelli bravi, non mi importava che sapessero come funzionava un elettrosincrotrone, perché in un mese lo potevano imparare, tra questi Ruggero Quercioli, Fernando Amman, Carlo Bernardini, Gianfranco Corazza, Giorgio Ghigo, Giordano Diambrini-Palazzi, Mario Puglisi, Ugo Amaldi e Giancarlo Sacerdoti. L’acceleratore entrò in funzione alla fine del 1958 e il realizzarlo fu già un successo: il fascio di elettroni era il più intenso che un elettrosincrotrone avesse mai prodotto al mondo.
Intanto Bruno Touschek, in un seminario tenuto ai Laboratori di Frascati nel marzo 1960, aveva proposto la pionieristica idea di un collisore in cui elettroni e positroni fossero accelerati in direzioni opposte all’interno di uno stesso anello acceleratore, detto anello di accumulazione (ADA).
Salvini sostenne con entusiasmo il progetto di costruire un prototipo che dimostrasse la validità del principio di funzionamento. L’anello – del diametro di 160 cm – entrò in funzione a Frascati nel febbraio 1961 e confermò brillantemente l’intuizione di Touschek. ADA divenne il prototipo di tutti i collisori del mondo, incluso il Large Hadron Collider (LHC) del CERN.
Contemporaneamente alla costruzione di ADA, iniziò il progetto di Adone, un anello di accumulazione da 2×1500 MeV per studiare collisioni elettrone-positrone ad alta energia, completato nel 1970.
Nel 1974 Adone mancò per un soffio la scoperta della particella J/ψ, fatta in contemporanea dai laboratori statunitensi di Brookhaven e di Stanford: l’energia massima dell’anello italiano era di pochissimo inferiore a quella necessaria per osservare la nuova particella (3,1GeV). L’allora direttore dei laboratori di Frascati, Giorgio Bellettini, dall’America comunicò al gruppo di ricerca italiano la notizia della scoperta.
Nelle ore successive, come Salvini racconta nel suo libro autobiografico, decidemmo – io in primis – di sfidare ogni rischio e forzarono Adone a funzionare a un’energia superiore alle sue condizioni limite. Fu così possibile in poche ore osservare anche in Italia i picchi legati alla J/ψ. Fu una vicenda scientifica sfortunata, che testimonia però il livello altissimo raggiunto dai fisici italiani nella fisica sperimentale delle alte energie.
Gli anni seguenti lo videro impegnato su molti fronti. Presidente dell’INFN dal 1966 al 1970, succedendo ad Amaldi di cui era il vicepresidente, si adoperò con successo per liberare l’ente dalle ingerenze politiche, salvaguardando la sua autonomia.
A partire dal 1976 collaborò al CERN con il gruppo di Carlo Rubbia, impegnato nella ricerca dei bosoni intermedi W+, W– e Z0, mediatori dell’interazione debole. Scoperta per la quale venne assegnato a Rubbia e al fisico olandese Simon Van der Meer il premio Nobel nel 1984.
Alla morte di Edoardo Amaldi gli successe alla presidenza dell’Accademia dei Lincei nel 1990, dove con lo stesso Amaldi e con Giovan Battista Marini Bettolo aveva istituito la Commissione per i diritti dell’Uomo, organo accademico volto alla promozione di azioni diplomatiche in difesa dei ricercatori perseguitati e imprigionati nei propri paesi.
In collaborazione con Francesco Calogero e Carlo Schaerf continuò le iniziative a lungo sostenute dallo stesso Amaldi nell’ambito del dibattito internazionale sul disarmo nucleare. Fu uno dei promotori delle Conferenze Amaldi, sui temi del disarmo e della sicurezza internazionale che, a partire dal 1990, sono organizzate periodicamente in diversi paesi del mondo.
Fu Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica tra il 1995 e il 1996, nel governo Dini, e si occupò tra l’altro del riordino dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e del raccordo con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), della riforma del CUN e dello sblocco dei concorsi a cattedre.
Nel 1998 diventa Presidente onorario dell’Accademia dei Lincei e Professore emerito dell’Università di Roma La Sapienza.
Nonostante gli impegni istituzionali e organizzativi, mai ha abbandonato la ricerca attiva e ancor più non ha mai lasciato l’amato insegnamento, se non per brevissimi periodi all’estero. Si riteneva fortunato per avere insegnato dalle elementari al dottorato di ricerca.
Il collega e amico Carlo Bernardini così lo descrive: Temperamento artistico, razionale ma passionale, decisionista indomabile, autorevole e generoso, appassionato di citazioni e metafore classiche, puntiglioso servitore dello Stato ma libero pensatore.
Ricordiamo la sua relazione La struttura elementare dell’universo, problemi aperti al Congresso Nazionale AIF di Cagliari nel 1998 (LFnS, Anno XXXII n.3 Supplemento, 1999), e la sua affettuosa partecipazione alle IPHO (International Physics Olympiads) di Padova nel 1999. Già socio AIF, al Congresso di Ferrara nel 1999 è stato nominato Socio Onorario.
[Biografia basata sull’intervista in Fisici italiani del tempo presente, a cura di Luisa Bonolis e Maria Grazia Melchionni, Marsilio, Venezia 2003]