Giorgio Careri
La famiglia viveva a Tripoli, dove il padre era avvocato; la madre lo portò a nascere a Roma perché a Tripoli non vi erano cliniche, ma ritornarono subito in Libia dove egli visse fino ai quattordici anni.
Tornato a Roma, frequentò il Liceo Giulio Cesare in quinta ginnasio, trovando molta differenza con le scuole frequentate in precedenza, tanto da essere l’ultimo della classe con sufficienza solo in matematica. Recuperò, al punto di poter saltare un anno e preparare da solo l’esame di maturità liceale.
Grazie alla rivista Sapere si appassionò alla fisica e grazie alla rivista Radio e scienza per tutti alle trasmissioni, tanto da costruire una radio a galena. Voleva iscriversi alla Scuola Normale, ma un po’ perché si sentiva inadeguato e un po’ perché pensava che la laurea in Fisica non offrisse possibilità di lavoro, si iscrisse ad Ingegneria nel ‘39.
Il corso di fisica era tenuto da Edoardo Amaldi che lui ammirava e che da allora divenne un punto di riferimento per la sua vita. Frequentò l’università, con molte difficoltà, nel periodo della guerra, anche di natura economica, specie dopo la morte del padre nel 1943.
Nello stesso anno fu chiamato alle armi nella Repubblica di Salò, ma non aderì e si nascose, pronto a fuggire grazie alle conoscenze tra i partigiani.
Si laureò a Roma in Ingegneria Industriale Chimica alla fine del 1945, con il massimo dei voti. Fu chiamato da un’industria chimica pronta ad assumerlo, ma capì che non voleva lavorare nell’industria e decise di iscriversi a Fisica al terzo anno.
La madre capì la scelta, anche se comportava la rinuncia ad uscire dalle ristrettezze economiche, e andò a vivere dalle sorelle in Calabria, mentre lui si manteneva affittando parte della casa e dando lezioni private al figlio del proprietario di un albergo, dove poteva fare colazione e pranzare.
All’Istituto di Fisica incontrò Mario Ageno, Gian Carlo Wick, soprattutto Bruno Ferretti e Amaldi che lo aiutavano e incoraggiavano. Trovò anche un alto livello scientifico, nonostante le difficoltà pratiche per reperire e costruire le attrezzature per la ricerca, con visite di Niels Bohr, Werner Heisenberg, Wolfgang Pauli tra gli altri.
Divenne amico di Marcello Conversi, non ancora laureato, con il quale condivideva la passione per la musica e per la montagna, e di Bruno Touschek che ammirava per la passione che metteva in quello che faceva.
I suoi interessi furono attratti dalla nascente chimica-fisica, orientata verso la fisica statistica, lontana da argomenti di ricerca come la fisica nucleare e dai raggi cosmici, che all’epoca prevalevano a Roma e che erano stati messi al centro dell’attenzione internazionale dopo gli esperimenti di Conversi, Pancini e Piccioni.
Appena laureato (1946), su proposta di Amaldi iniziò a costruire uno spettrometro di massa per analisi isotopiche, il primo del genere in Italia, già realizzato negli Stati Uniti da Alfred Nier, ma di cui si conosceva solo una sommaria descrizione.
Nel 1949 si recò a Firenze, insieme a Edoardo e Ginestra Amaldi, Bruno Zumino e Giacomo Morpurgo, al primo Congresso Internazionale di Fisica teorica del dopoguerra su argomenti di termodinamica statistica, organizzato grazie a Giovanni Polvani, presidente della SIF, e Ilya Prigogine. In quella occasione venne in contatto con l’ambiente internazionale e prese coscienza dell’esistenza di campi di ricerca in cui avrebbe voluto operare.
Conobbe Lars Onsager che divenne poi il suo più grande amico e collaboratore e Joe Mayer, che lavorava sulla teoria dei liquidi e che lo invitò a Chicago.
Vi si recò nel 1950 e sperimentò la differenza tra l’ambiente collaborativo e familiare dell’Istituto romano e il più freddo e competitivo mondo della fisica americana, ma fu molto colpito dall’alto livello dei seminari settimanali organizzati da Enrico Fermi, con Harold Urey, Maria Goeppert-Mayer, Willard Libby, Chen-Ning Yang e altri Premi Nobel o futuri premiati.
Mayer e la moglie Maria Goeppert lo incoraggiarono ad un lavoro sperimentale, data la sua carenza di strumenti matematici per affrontare una ricerca teorica, per cui, tornato a Roma, completò lo spettrometro e iniziò una serie di ricerche in due campi allora nuovi, la geochimica e la cinetica chimica, con l’aiuto di Gianni Boato, appena laureato in chimica a Genova.
I risultati delle ricerche con Boato, Molinari, Cimino, Volpi ed altri furono pubblicati nel 1952 da riviste internazionali e, nel 1955, grazie a questi, vinse la cattedra di Fisica Sperimentale a Bari (in commissione Beppo Occhialini, Gilberto Bernardini e Marcello Conversi).
Sempre più attirato da un settore di ricerca diverso, dagli stati condensati e in particolare dai liquidi, nel 1953 accettò l’invito di Giorgio Salvini ad allestire ai neonati Laboratori Nazionali di Frascati un laboratorio di liquefazione dell’idrogeno ed elio che doveva fornire i bersagli di idrogeno liquido per l’elettrosincrotrone.
Nel frattempo fu chiamato a Padova, dove si trasferì con la moglie Lina e organizzò un gruppo di ricerca sperimentale (con Scaramuzzi, Cunsolo, Mazzoldi ed altri) sui vortici quantizzati nell’elio liquido, postulati da Onsager nel 1949 e da Feynman nel 1952.
Dal 1951 era stato nominato segretario dello IUPAP, succedendo a Prigogine, ed ebbe l’occasione di discutere alle riunioni del consiglio con i più importanti scienziati nel campo, come Uhlenbeck, Prigogine, Van Hove, De Gennes, e iniziò l’amicizia e collaborazione con Lars Onsager e Herbert Frölich.
Nel 1957 organizzò a Varenna il Convegno internazionale sugli stati condensati, dove presentò i primi lavori del suo gruppo, con Giuliana Cini Castagnoli, Franco Salvetti, Antonio Paoletti, Matilde Vicentini e altri.
Nel 1958, al Congresso di Fisica delle basse temperature, organizzato a Leida per il cinquantenario della liquefazione dell’elio, incontrò Richard Feynman, che esponeva la sua teoria sui vortici quantizzati e che si dimostrò interessato agli esperimenti italiani.
L’anno seguente fu invitato a Utrecht da Van Hove al Congresso sui ‘Problemi a molti corpi’, tra gli unici tre sperimentali con Fairbank e Kramers.
Nel 1961 infine poté organizzare a Varenna la prima scuola SIF sull’elio liquido, nella quale gli idrodinamici teorici classici si confrontarono con gli sperimentali.
La fisica della superfluidità sfociò poi nei lavori di Brian Josephson, premio Nobel 1973, e quella della superconduttività nella teoria di Bardeen, Cooper, Schieffer (BCS), premi Nobel del 1972 e il campo di ricerca si stava esaurendo anche se gli sviluppi della fisica statistica continuarono da noi con Carlo Di Castro e Gianni Jona-Lasinio.
I lavori sull’elio liquido confluirono successivamente nella scrittura del libro Ordine e disordine nella materia, pubblicato nel 1981 dall’Accademia del Lincei e poi tradotto anche in inglese e russo.
Su consiglio di Onsager e Frölich, a partire dalla metà degli anni ’60, cominciò a interessarsi dei problemi al confine tra fisica e biologia molecolare. Da allora la sua attività di ricerca si svolse in questo campo.
Nel 1964, invitato a tenere seminari al MIT di Boston, incontrò Paolo Fasella, assistente di chimica biologica a Roma, col quale avrebbe poi lavorato per una decina d’anni.
Nel 1967 Careri divenne Direttore dell’Istituto di Fisica di Roma dove, dal 1964, aveva fatto attivare il primo corso di Struttura della Materia, che tenne lui stesso fino al 1995.
Nel periodo della contestazione, anche per sottrarsi alla difficile situazione universitaria creatasi -in quanto direttore era un bersaglio e gli fu persino impedito di entrare in istituto – accettò l’offerta di Raffaele Girotti, di allestire per l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) un laboratorio avanzato di ricerca a Monterotondo.
Nel 1970 il laboratorio entrò nella fase attiva con grandi mezzi, e invitò anche illustri scienziati, dedicandosi a ricerche sull’enzima, sfociate nella pubblicazione di un lavoro con Onsager (The fluctuating enzyme) e con Fasella e Enrico Gratton (Statistical time events in enzymes) che ottennero subito una notevole risonanza internazionale.
Nel 1975 l’ingegner Girotti si trasferì alla Montedison, la SNAM che gestiva i laboratori era più interessata a risultati immediati e pratici, così lasciò la direzione a Fasella e tornò all’Istituto di Roma dedicandosi a ricerche di biochimica sull’acetoanilide.
Fu poi invitato in California al Caltech nel 1977, dove erano Feynman e Gell-Mann, e dove trovò stipendio americano e stile americano dei vecchi tempi, cioè un ambiente stimolante e competitivo, ma freddo dal lato umano.
Quando Paolo Fasella lasciò Roma per Bruxelles, lavorò con John Rupley, un biochimico dell’Università dell’Arizona, sul lisozima. Fu invitato come “visiting professor” all’inizio degli anni ’80 e trovò un nuovo campo di lavoro nello studio delle proprietà dielettriche delle proteine in uno stato quasi anidro, oltre a potere visitare i deserti dell’Arizona con moglie e figli.
A differenza della maggior parte dei ricercatori che hanno affrontato lo studio di questo tipo di problemi utilizzando strumenti matematici della dinamica molecolare e delle simulazioni o metodi sperimentali complessi come la risonanza magnetica nucleare, preferì utilizzare metodologie semplici associate alla misura delle proprietà dielettriche degli enzimi, ed insieme ai suoi collaboratori (Andrea Giansanti, Fabio Bruni, Giuseppe Consolini, Edoardo Milotti ed altri) ha applicato a queste misure calcoli analitici e numerici derivati dalla meccanica statistica.
Nel 2006 ebbe il Premio Fermi della SIF per la scoperta dei vortici quantistici nell’elio superfluido di cinquanta anni prima.
Aveva anche profondi interessi culturali e artistici, che riteneva ben più di un hobby, sempre considerati in una visione unitaria del settore Scienza/Cultura/Arte. Ha illustrato questo concetto in vari articoli pubblicati sulla rivista artistico-letteraria Leonardo edita da Pergamon Press, della quale è stato redattore insieme a Giulio Carlo Argan.
È stato anche un apprezzato scultore di opere in legno e, nel 1985, ha esposto alcuni suoi lavori in una mostra collettiva a Palazzo Venezia.
Le sue idee in merito sono state ben esposte in un manoscritto inedito ricuperato tra le sue carte dalla moglie Lina: io credo che arte e scienze abbiano in comune un punto fondamentale: quello di percepire una struttura che resta fuori dalle apparenze sensoriali. Muovendo da questo, ho operato sperimentalmente nel campo della struttura della materia e, in particolare, ho cercato di mettere in evidenza lo stato di alto ordine dei superfluidi e delle biomolecole. Nel campo delle arti visive … utilizzando del legno allo stato naturale e modificando ad arte alcune sue parti ho cercato di mettere in evidenza la struttura non apparente.
Negli ultimi anni fu colpito da mieloma che non gli ha impedito di condurre una vita attiva, anche scientificamente, fino agli ultimi giorni.
Si è sempre sentito un ricercatore isolato dagli ambienti di ricerca nazionale, conosciuto forse più a livello internazionale, nonostante i suoi numerosi collaboratori ed allievi, molti dei quali avviati a brillanti carriere. Per la sua naturale riservatezzae modestia ha scritto di non voler essere commemorato.
(Questa biografia è basata in gran parte sull’intervista di Luisa Bonolis pubblicata in Fisici italiani del tempo presente. Si ringrazia l’autrice per l’autorizzazione gentilmente concessa.)