Gilberto Govi
Nacque a Mantova da Quirino, di Correggio e da poco trasferito a Mantova, e da Anna De Alles, di origini goriziane, nella via che ora porta il suo nome. La sua prima formazione fu in famiglia, per frequentare poi il ginnasio al Ginnasio-Liceo Virgilio e il biennio di ‘studi filosofici’, conseguendo nel 1844 la maturità classica a pieni voti.
Pur particolarmente portato per le discipline scientifiche e soprattutto per la fisica, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza a Padova per accontentare il desiderio del padre di vederlo avvocato. Sostenne per due anni tutti gli esami, seguendo anche le lezioni di matematica e fisica e alla fine del secondo anno si trasferì alla facoltà di matematica, con il consenso del padre.
Nel 1848, ancora studente, in quanto fervente mazziniano partecipò ai moti risorgimentali, combattendo a Montebello nella legione universitaria padovana e in seguito a ciò dovette emigrare a Parigi, dove rimase fino al 1857.
Qui frequentò le lezioni di fisica e chimica all’École Polytechnique e in officine di strumenti scientifici e, nel 1851, ideò e costruì un fotometro per luci colorate ispirato dalle lezioni di César Despretz, che presentò però solo nove anni dopo.
A Parigi conobbe il matematico Guglielmo Libri, anch’egli profugo, che aveva l’incarico di ordinare e interpretare i manoscritti di Leonardo da Vinci custoditi alla Biblioteca dell’Institut de France per curarne la pubblicazione.
Questo incontro suscitò la passione per la storia della scienza che caratterizzerà la sua vita futura; nel frattempo, padroneggiando sempre meglio la lingua francese, collaborava con riviste scientifiche e teneva conferenze divulgative.
Nel 1855 incontrò il delegato toscano all’Esposizione Internazionale di Parigi, Filippo Corridi, fondatore e direttore dell’Istituto Tecnico di Firenze, che ne riconobbe il valore e convinse il Granduca a nominarlo Professore di fisica e tecnologia all’Istituto.
Il 16 novembre inaugurò le lezioni con un’esemplare lezione dal titolo “Delle scienze nella società”.
Nel 1859 si arruolò nell’esercito toscano, con il grado di ufficiale del Genio, per partecipare alla liberazione della sua Mantova, ma quando giunse a Goito fu firmato l’armistizio di Villafranca che lasciava Mantova sotto il dominio austriaco.
Tornato a Firenze, ebbe la cattedra di fisica al neonato Istituto di Studi Superiori fondato dal Governo Provvisorio.
Nel 1862 fu chiamato alla cattedra di fisica sperimentale all’Università di Torino che inaugurò con la lezione “Della fisica e del modo di studiarla e di insegnarla nei tempi passati e ai nostri”, dove tra l’altro diceva …insegnare dilettando e dilettare insegnando è il segreto della educazione profittevole, secondo l’indole degli spiriti a cui l’educatore si volge ….
Fu nominato all’Accademia delle Scienze di Torino e pubblicò molti lavori negli Atti dell’Accademia dove il 21 febbraio 1864 fu designato a celebrare il terzo centenario della nascita di Galileo e fu nominato Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Torino.
Fu anche eletto Magnifico Rettore dell’Università, ma rinunciò all’incarico perché riteneva che l’impegno lo distogliesse troppo dalle sue ricerche
Nel 1870, alla caduta del potere temporale del papato, corse a Roma e il 20 settembre entrò a Porta Pia alla guida dei suoi bersaglieri. Scrisse nell’occasione ad una amica mantovana: … ora posso morire contento perché ho visto cadere l’ultimo baluardo dell’ignoranza e della tirannia …
A Roma ebbe dal Ministro dell’Istruzione Cesare Correnti, suo vecchio amico, l’incarico di riorganizzare le biblioteche romane e quella dell’Accademia dei Lincei e fu nominato nella commissione nazionale istituita per curare la raccolta dei manoscritti e disegni di Leonardo da Vinci.
A Roma, dove continuava ad essere in aspettativa dalla cattedra di Torino per incarichi vari, cercò per quattro anni di fare istituire per sé una Cattedra di Storia della Scienza, con annessa biblioteca e museo nazionale che raccogliesse gli strumenti antichi. La cattedra per vari motivi non fu mai istituita nonostante appassionati scambi di lettere con vari ministri e Rettori e lo scritto “Intorno all’utilità di una scuola di storia della fisica”, dove espone le sue idee, ancora oggi validissime, sulla necessità della storia della fisica nella ricerca e nell’insegnamento, molto simili a quelle che qualche anno dopo esprimerà Ernst Mach.
Nel 1872 il ministro Antonio Scaloja lo propose per la nomina a Senatore del Regno, che però Govi rifiutò.
L’anno dopo fu inviato a rappresentare l’Italia alla Commissione Internazionale del Metro e quando nel 1875 fu istituito il Bureau International des poids et mesures a Parigi fu eletto all’unanimità alla direzione.
Nel 1874 fu eletto all’Accademia dei Lincei ed ebbe l’incarico di Prefetto della Biblioteca Casanatense, già dei Domenicani, e di curatore della collezione di strumenti del Collegio Romano, già dei Gesuiti (ora Liceo Visconti); più tardi ebbe la direzione della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II appena istituita.
La sua passione di bibliofilo e ricercatore, più che di bibliotecario, è anche testimoniata dal possesso di una vastissima biblioteca personale, con edizioni rare, manoscritti e lettere, che dopo la sua morte è stata messa all’asta.
Nel 1878 gli fu affidata la Cattedra di fisica dell’Università di Napoli che tenne fino alla morte pur con frequenti soggiorni a Roma e Parigi per i suoi incarichi.
Con le elezioni politiche del 1882 fu eletto Deputato al Parlamento per il collegio di Reggio Emilia; accettò con poco entusiasmo la nomina e dopo due anni si dimise per tornare alle sue attività scientifiche.
Pubblicò più di 200 lavori dedicati ai più svariati argomenti, spaziando dalla invenzione di strumenti innovativi quali barometri o fotometri, alla descrizione di accurati esperimenti di acustica, termologia e soprattutto di ottica e elettrodinamica (condensatori).
Molto apprezzata era la sua capacità didattica, testimoniata dalle parole dell’allievo Giuseppe Basso, poi professore di fisica all’Università di Torino: … la sua singolare abilità di esposizione, la limpidezza delle idee e ragionamenti, la parola facile, elegante, immaginosa, davano alle sue lezioni una attraenza irresistibile … soprattutto quando il suo dire era accompagnato da dimostrazioni sperimentali…
Una sua grande passione fu la ricerca nella storia della scienza, sia valorizzando e facendo conoscere scienziati rimasti nell’ombra come Giovanni Battista Baliani, precursore di Torricelli o Eusebio Squario, precursore di Benjamin Franklin, sia curando la pubblicazione di manoscritti tra cui la traduzione latina dell’Ottica di Claudio Tolomeo ritenuta perduta e riscoperta nel 1869. Questo lavoro più volte sospeso e interrotto per gli impegni burocratici a Roma e Parigi, fu ultimato e pubblicato solo nel 1885.
La maggior parte della sua ricerca storica fu però dedicata a Leonardo da Vinci e Galileo Galilei. Del primo sognava di pubblicare tutti i Codici a partire da quelli costuditi a Parigi, dei quali si era occupato dal 1852 e fino al 1876 pur con molta discontinuità, fino al Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano per il quale nel 1886 ebbe l’incarico al quale lavorò tra difficoltà di vario tipo per tre anni, ma che non poté portare a termine per la morte improvvisa. Questo lavoro fu poi pubblicato nel 1894 e tutti gli scritti di Govi su Leonardo, raccolti dal suo allievo e amico Antonio Favaro furono pubblicati solo nel 1923 (A. Favaro, Gilberto Govi e i suoi scritti su Leonardo da Vinci, Loescher, Roma, 1923).
Gli studi su Galileo iniziarono a Firenze dal 1849 e proseguirono con la scoperta e pubblicazione di lettere inedite. Fu anche chiamato a Parigi per una controversia riguardante lettere attribuite a Galileo (ma anche Pascal e altri) presentate da Chasles all’Accademia, che Govi dimostrò essere false (sull’episodio è basata la pièce “Processo ad un matematico ou Le tenebreux affaire du faux Pascal” di Ledo Stefanini).
Quando Antonio Favaro fu chiamato a dirigere l’Edizione Nazionale delle Opere di Galileo lo volle come consulente, ma il suo prezioso aiuto venne meno prima della pubblicazione del primo volume.
Da ricordare che il fratello Anselmo, funzionario delle ferrovie e abitante a Genova, in suo onore chiamò Gilberto il figlio (1885-1966), che divenne uno dei più famosi attori del teatro dialettale genovese.