Ettore Majorana
Cresciuto in una famiglia di grandi tradizioni intellettuali, il padre Fabio si era laureato giovanissimo, a 19 anni, in Ingegneria e quindi in Scienze fisiche e matematiche, (divenne poi Ispettore generale del Ministero delle telecomunicazioni). Gli zii tutti famosi: Giuseppe, economista e deputato; Angelo, costituzionalista (laureato a 16 anni, professore a 21 e Rettore a 29, Ministro delle Finanze e Tesoro nel governo Giolitti); Dante, giurista, deputato (tutti e tre Rettori dell’Università di Catania!); Quirino, professore di Fisica sperimentale al Politecnico di Torino e quindi all’Università di Bologna (cattedra in cui successe a Righi), socio dell’ Accademia dei Lincei e Presidente della Società Italiana di Fisica, spese gran parte della sua vita a mostrare la falsità della relatività einsteiniana. Il nonno, Salvatore Majorana, si era laureato anch’esso giovanissimo e fu deputato, senatore e Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio nei governi Depretis.
Ettore era l’ultimo di cinque fratelli: Rosina; Salvatore, dottore in legge e studioso di filosofia; Luciano, ingegnere civile che si dedicò alla progettazione e costruzione di strumenti per l’astronomia ottica (a lui si deve la progettazione degli Osservatori di Monte Mario, del Gran Sasso e dell’Etna, nonché un’ardita idea di un ponte sullo Stretto di Messina); Maria, Insegnante di pianoforte diplomata a pieni voti al Conservatorio di S. Cecilia.
Ettore frequentò il collegio “Massimo” dei Gesuiti, dove terminò il ginnasio in quattro anni avendo saltato il quinto; essendosi poi la famiglia trasferita a Roma, dal 1921 frequentò come esterno il primo e secondo liceo classico. Il terzo liceo classico lo frequentò presso l’istituto statale “Torquato Tasso” dove conseguì la maturità classica nel 1923. Si iscrisse poi, forse per seguire le orme degli avi, alla facoltà d’Ingegneria. Fra i suoi compagni di corso il fratello Luciano, Emilio Segrè, Enrico Volterra (figlio del matematico Vito), Giovanni Gentile jr. (figlio del filosofo Giovanni) e Giuseppe Enriques (figlio del matematico ed epistemologo Federico).
Segrè al quarto anno decise di passare a Fisica, in seguito all’appello di Orso Maria Corbino, Direttore dell’Istituto, e riuscì a convincere Majorana a fare altrettanto. Il passaggio avvenne dopo un incontro con Fermi (allora ventiseienne) da poco nominato professore ordinario di Fisica Teorica all’Università di Roma, (della commissione che assegnò la cattedra era membro Quirino Majorana, se questo fatto ebbe in seguito influenza nei rapporti Fermi-Majorana non è dato sapere). Ecco il resoconto di quell’incontro che fa Amaldi: Egli venne all’Istituto di via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell’occasione che io lo vidi per la prima volta. Di lontano appariva smilzo, con un’andatura timida e quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell’insieme l’aspetto di un saraceno.
Fermi lavorava allora al modello statistico dell’atomo che prese in seguito il nome di Thomas-Fermi. Il discorso cadde subito sulle ricerche in corso all’Istituto e Fermi espose le linee generali del modello, mostrò gli estratti dei suoi recenti lavori sull’argomento e la tabella in cui erano raccolti i valori numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi. Majorana ascoltò con interesse e, dopo aver chiesto qualche chiarimento, se ne andò. Il giorno dopo si presentò di nuovo all’Istituto, entrò diretto nello studio di Fermi e gli chiese di vedere la tabella che gli era stata posta sotto gli occhi per pochi istanti il giorno precedente. Avutala in mano, estrasse dalla tasca un foglietto su cui era scritta un’analoga tabella da lui calcolata a casa. Confrontò le due tabelle e, constatato che erano in pieno accordo fra loro, disse che la tabella di Fermi andava bene!
Comunque Majorana passò a Fisica e iniziò a frequentare l’Istituto di via Panisperna – regolarmente fino alla laurea, conseguita nel luglio del 1929 sotto la guida di Fermi con una tesi su “La teoria quantistica dei nuclei radioattivi” – meno dopo, e i rapporti con Fermi erano piuttosto burrascosi e con gli altri “ragazzi di Via Panisperna” abbastanza freddini.
Conseguì la libera docenza in Fisica teorica nel novembre del 1932. Si dedicò poi a una serie di lavori fondamentali che segnano la nascita della fisica teorica dei nuclei e delle particelle elementari. Si lasciò convincere ad andare all’estero (Lipsia e Copenaghen) e gli fu assegnata dal CNR una sovvenzione per tale viaggio che ebbe inizio alla fine di gennaio del 1933 e durò quasi sette mesi. L’incontro con Heisenberg fu proficuo, tanto che questi riuscì dove Fermi e gli altri avevano fallito, nel far pubblicare "qualcosa" a Majorana. Pubblicò infatti “Über die Kerntheorie”, in Zeitschrift für Physik e in una lettera al padre scrive: ho scritto un articolo sulla struttura dei nuclei che ad Heisenberg è piaciuto, benché contenesse alcune correzioni a una sua teoria, e poi alla madre: mi hanno accolto molto cordialmente, ho avuto una lunga conversazione con Heisenberg che è persona straordinariamente cortese e simpatica.
Nel viaggio fatto all’estero fu colpito dall’organizzazione tedesca: … La persecuzione ebraica riempie di allegrezza (sic!) la maggioranza ariana. Il numero di coloro che troveranno posto nell’amministrazione pubblica ed in molte private, in seguito all’espulsione degli ebrei, è rilevantissimo; e questo spiega la popolarità della lotta antisemita. A Berlino oltre il cinquanta per cento dei procuratori erano israeliti, di essi un terzo sono stati eliminati (sic!) … Negli ambienti universitari l’epurazione sarà completa entro il mese di Ottobre. Il nazionalismo tedesco consiste in gran parte nell’orgoglio di razza. In realtà non solo gli ebrei, ma anche i comunisti e in genere gli avversari del regime vengono in gran parte eliminati dalla vita sociale. Nel complesso l’opera del governo risponde ad una necessità storica: far posto alla nuova generazione che rischia di essere soffocata dalla stasi economica. (E. Majorana. Lettera alla madre)
Non è dato sapere se i suoi collaboratori conoscessero le sue impressioni e le sue idee sulla Germania nazista: è certo comunque che a Fermi e Segrè (ebreo) tali idee e concezioni non dovessero fare grande piacere. Sulle sue presunte simpatie per il fascismo o sul suo antifascismo si discusse molto dopo la scomparsa con opinioni e testimonianze decisamente discordanti.
Successivamente si recò a Copenaghen, dove conobbe Niels Bohr (il maggiore ispiratore della fisica moderna, ora un po’ invecchiato e sensibilmente rimbambito … è un bonaccione; gli piace che io parli il tedesco peggio di lui.) e altri fisici importanti dell’epoca quali Møller, Rosenfeld ed Ehrenfest.
Tornato da Lipsia nel 1933, preferì dedicarsi a studi di letteratura e di filosofia. In una lettera allo zio Quirino del 1936 comunica di occuparsi di elettrodinamica quantistica ma non è rimasta traccia di questi studi. Sempre più saltuariamente si recava all’Istituto di Fisica. Sovente se ne stava a casa, non riceveva alcuno e respingeva la corrispondenza scrivendoci di proprio pugno “si respinge per morte del destinatario”. Curava anche poco l’aspetto fisico e si era lasciato crescere barba e capelli. Mentre prima era scherzoso, ironico e amava chiacchierare ai caffè e giocare a scacchi, divenne chiuso, scontroso e isolato. Questo è il periodo più oscuro della sua vita, certo è che non cessava di studiare e i suoi studi si erano ampliati, ma non si sa su che lavorasse in fisica teorica.
Ecco il ritratto che dà di lui, in quel periodo, Laura Fermi: Majorana aveva però un carattere strano: era eccessivamente timido e chiuso in sé. La mattina, nell’andare in tram all’Istituto, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente una idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all’Istituto cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua idea. (L. Fermi. Atomi in famiglia, LFnS, 2001)
E ancora: Majorana aveva continuato a frequentare l’Istituto di Roma e a lavorarvi saltuariamente, nel suo modo peculiare, finché nel 1933 era andato per qualche mese in Germania. Al ritorno non riprese il suo posto nella vita dell’Istituto; anzi, non volle più farsi vedere nemmeno dai vecchi compagni. Sul turbamento del suo carattere dovette certamente influire un fatto tragico che aveva colpito la famiglia Majorana. Un bimbo in fasce, cugino di Ettore, era morto bruciato nella culla, che aveva preso fuoco inspiegabilmente. Si parlò di delitto …
Nel 1937, a più di dieci anni di distanza dal primo concorso di Fisica teorica del 1926, venne bandito un altro concorso richiesto dall’università di Palermo. Tra i concorrenti figuravano Majorana, Racah, Wick e Gentile jr. Di fronte alla evidente superiorità di Majorana la commissione, presieduta da Fermi, probabilmente anche per non dovere escludere nessuno degli altri tre (e sarebbe toccato a Gentile), chiese al Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, di ricorrere a una legge, già invocata per Guglielmo Marconi, che attribuisse al giovane fisico teorico una cattedra fuori concorso. Alla lettera venne allegata una relazione che riassume l’eccezionale profilo scientifico di Ettore: "… Fin dall’inizio della sua carriera scientifica ha dimostrato una profondità di pensiero ed una genialità di concezione da attirare su di lui l’attenzione degli studiosi di Fisica Teorica di tutto il mondo. Senza elencarne i lavori, tutti notevolissimi per l’originalità dei metodi impiegati e per l’importanza dei risultati raggiunti, ci si limita qui alle seguenti segnalazioni. Nelle teorie nucleari moderne il contributo portato da questo ricercatore con la introduzione delle cosiddette "Forze di Majorana" è universalmente riconosciuto tra i più fondamentali, come quello che permette di comprendere teoricamente le ragioni della stabilità dei nuclei. I lavori del Majorana servono oggi di base alle più importanti ricerche in questo campo. Nell’atomistica spetta al Majorana il merito di aver risolto, con semplici ed eleganti considerazioni di simmetria, alcune tra le più intricate questioni sulla struttura degli spettri. In un recente lavoro, infine, ha escogitato un brillante metodo che permette di trattare in modo simmetrico l’elettrone positivo e negativo, eliminando finalmente la necessità di ricorrere all’ipotesi estremamente artificiosa ed insoddisfacente di una carica elettrica infinitamente grande diffusa in tutto lo spazio".
L’ultima frase si riferiva all’importante lavoro “Teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone” (Nuovo Cimento, 14, 171-184 (1937)); in questo articolo, scritto già nel 1933 ma pubblicato solo nel 1937 per la nota ritrosia a diffondere i propri risultati, viene introdotta la "rappresentazione di Majorana" delle matrici di Dirac in forma reale e viene fatta l’ipotesi che un fermione neutro, e quindi anche un neutrino, debba coincidere con la sua antiparticella. L’ipotesi estremamente artificiosa ed insoddisfacente si riferisce alla nota teoria del mare di Dirac che andava per la maggiore. Come per altri scritti di Majorana, anche questo articolo ha cominciato ad avere fortuna solo vent’anni dopo, a partire dal 1957. Dopo di che ha goduto di fama via via crescente tra i fisici delle particelle e delle teorie di campo. Ora sono di gran moda espressioni come "spinori di Majorana", "massa di Majorana", "neutrini di Majorana".
Majorana vincerà "per chiara fama", nel novembre del 1937, la cattedra di Fisica teorica all’Università di Napoli (i vincitori “normali” saranno Gian Carlo Wick, chiamato a Palermo, Giulio Racah a Pisa, Giovani Gentile jr. a Milano). Anche a Napoli condusse una vita estremamente ritirata, con i suoi malanni che si ripercuotevano inevitabilmente sul suo carattere e sul suo umore: soffriva, infatti, di ulcera e mangiava quasi esclusivamente latte, non praticava sport, faceva solo lunghe passeggiate e si legò d’amicizia solo con Antonio Carrelli, insegnante di Fisica sperimentale presso l’istituto, ma continuò a scrivere lettere allo zio Quirino, alla sorella Maria e al suo grande amico fin dall’Università Giovanni Gentile jr.
La sera del 23 Marzo 1938 partì da Napoli per Palermo, ove si fermò un paio di giorni, con un piroscafo della società Tirrenia. Era stato invitato a prendersi un periodo di riposo. Prima di salpare da Napoli consegnò alla studentessa Gilda Senatore una cartella di appunti scientifici: questi documenti furono mostrati anni dopo al marito di questa, anch’egli fisico, che ne parlò con Carrelli il quale li volle, dopo di che si persero misteriosamente. Alcuni appunti manoscritti delle sue lezioni furono pubblicati a cura di Bruno Preziosi, altri manoscritti depositati presso la Domus Galileiana a Pisa sono stati pubblicati recentemente da Erasmo Recami. La loro analisi permette di rilevare come fosse estremamente diligente e preciso nel lavoro.
Il 26 Marzo Carrelli ricevette da Majorana un telegramma in cui gli diceva di non preoccuparsi di quanto scritto nella lettera che gli aveva precedentemente inviato. Ecco quanto aveva scritto: Caro Carrelli, Ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma soprattutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi. Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto …; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo.
Aveva scritto anche ai familiari: Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi.
Ma Carrelli non aveva ancora ricevuto nessuna lettera ed attese l’arrivo della posta. Questo l’ultimo scritto pervenutoci di Majorana: Palermo, 26 marzo 1938 – XVI. Caro Carrelli, Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando con questo stesso foglio. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.
Però Ettore non comparve più. Iniziarono le ricerche e del caso si interessò, dietro pressioni di Fermi, lo stesso Mussolini; fu proposta dalla famiglia una ricompensa (30.000 lire) per chi ne desse notizie, ma non si seppe mai più nulla di lui, almeno in modo inequivocabile. Il professor Strazzeri dell’Università di Palermo e un marinaio asserirono di averlo visto a bordo alle prime luci dell’alba mentre il piroscafo si accingeva ad attraccare a Napoli e la società Tirrenia, anche se l’episodio non fu mai confermato, asserì che il biglietto di Majorana era tra quelli testimonianti lo sbarco. Le indagini della polizia, anche se poco approfondite a quanto sembra, furono condotte per circa tre mesi e si estesero al Vaticano e ad un convento di Gesuiti dove pare si fosse rivolto per chiedere una qualche sorta di aiuto. In mare non fu mai trovato.
Si eclissò così, nel nulla, dalla scena internazionale, uno dei più geniali fisici di tutti i tempi, un uomo che, come scrive giustamente Amaldi nel suo “Ricordo”: aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti della natura, ma che aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, che era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto non lo sia per la stragrande maggioranza degli uomini.
Perché dunque Majorana decise di scomparire? Forse l’ambiente di Napoli gli stava stretto: si trovò come un solitario e per di più incompreso, non era peraltro portato per l’insegnamento, né per quella burocrazia universitaria fatta di registri, presenze, permessi con cui si era scontrato, lui che si chiudeva in casa per interi giorni fino ad arrivare alla soluzione di un problema. L’unica certezza in mezzo a tante supposizioni consiste nel non indifferente prelievo di una considerevole somma di denaro che fece prima di far perdere le sue tracce, l’equivalente di circa 10 mila dollari attuali.
Sulla sua scomparsa sono possibili soltanto illazioni, non essendoci alcun fatto documentale sicuro; queste, per quanto cerchino di essere il più aderenti possibile alla realtà, restano sempre illazioni e seguono l’intuizione di chi le scrive.
Le ipotesi relative alla sua scomparsa seguono soprattutto tre filoni. La via tedesca (proposta da Umberto Bartocci dell’Università di Perugia, nel suo libro La scomparsa di Ettore Majorana: un affare di stato? Andromeda, Bologna, 1999) assume che egli sarebbe tornato in Germania per mettere a disposizione le sue conoscenze. La via sudamericana (esaminata in dettaglio da Recami) mostra tracce, specie intorno agli anni sessanta, della sua presenza in Argentina, ed è la più ricca di testimonianze (le due ipotesi potrebbero anche essere compatibili tra loro, prima la Germania nazista e poi, dopo la guerra, il Sudamerica). La terza via, che Sciascia mostra di prediligere nel suo libro La scomparsa di Ettore Majorana (Einaudi, Torino 1975 e Adelphi, 2005), assume che egli si sarebbe rinchiuso in un monastero (aveva frequentato il collegio dei Gesuiti a Roma e ad un convento di Gesuiti bussò a Napoli – ma poteva lui che era un insofferente a tutte le costrizioni, aderire alle rigide regole monastiche?).
Resterebbe un’altra ipotesi, quella del suicidio, che sembra la più ovvia, ma Majorana nei suoi laconici biglietti di commiato non parla mai di suicidio (ed era una persona molto attenta alle parole), in mare non fu ritrovato nulla, un suicida non ritira una somma notevole in banca prima di suicidarsi e, se lo fa, la destina a qualcuno; inoltre fu avvistato e riconosciuto a Napoli giorni dopo la scomparsa. Una ulteriore possibilità, quella di una ‘sparizione’ di tipo mafioso o di un omicidio, è stata proposta sempre da Bartocci (Episteme, 1999).
Un commento sulla personalità scientifica di Ettore, venne fatto da Fermi a Giuseppe Cocconi subito dopo la notizia della sua scomparsa, e da questi raccontato in una lettera a E. Amaldi del 1965: Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fanno del loro meglio ma non vanno lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentale per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso.
A lui è stato intitolato nel 1963 il "Centro di cultura scientifica Ettore Majorana" di Erice, presso Trapani, fondato e diretto da Antonino Zichichi, sede ogni anno di numerosi congressi.