Bruno Touschek
Figlio di Franz Xaver e Camilla Weltman, frequentò le scuole a Vienna fino al 1937, quando, a causa delle origini ebraiche di sua madre, fu costretto a lasciare la sua scuola senza poter conseguire il diploma, che ottenne poi come privatista presso un’altra sede.
Si iscrisse al corso di laurea in matematica e fisica all’Università di Vienna, ma, sempre a causa delle leggi razziali, dovette sospendere e trasferirsi ad Amburgo, dove riuscì a tenere segrete le sue origini e riprendere gli studi.
Per mantenersi lavorò presso la Studiengellschaft für Elektronengeräte, una società affiliata alla Philips dove si costruivano apparecchiature per impianti a radiofrequenza.
Fu invitato da Ralf Wideröe nel 1943 a collaborare alla costruzione del betatrone, ma fu arrestato dalla Gestapo e, in prigione, concepì l’idea e la teoria del "radiation damping" per gli elettroni circolanti nel betatrone.
Fu poi internato in un campo di concentramento, dal quale riuscì a fuggire perché le SS, dopo averlo ferito alla testa, lo credettero morto.
Finita la guerra, nel 1946 si laureò all’Università di Göttingen ed iniziò a lavorare per il Max Planck Institut di W. Heisenberg, trasferendosi poi a Glasgow con una borsa di studio. Successivamente divenne ‘lecturer’ dell’Università di Glasgow fino al 1952, quando prese la decisione di trasferirsi a Roma dove viveva la zia.
Tre anni dopo tornò a Glasgow, dove sposò Elspeth Yonge, figlia di un professore di zoologia dell’Università, dalla quale ebbe due figli.
A Roma ottenne un posto da ricercatore dell’INFN e tenne corsi all’Università sin dal 1953; in quel periodo si interessò soprattutto di elettrodinamica quantistica che considerava, grazie anche all’amicizia e alle discussioni con Pauli, uno dei passi più importanti di tutta la storia della fisica. Negli stessi anni strinse un saldo sodalizio con Luigi Radicati, Giacomo Morpurgo e Marcello Cini, nonchè con Edoardo Amaldi, Enrico Persico e Marcello Conversi.
In quegli anni si iniziava lo studio sperimentale delle particelle elementari, non solamente con i raggi cosmici, ma costruendo macchine acceleratrici e anche in Italia si stava completando a Frascati, sotto la guida di Giorgio Salvini, un elettrosincrotrone fortemente voluto da Amaldi.
Touschek era convinto che l’elettrodinamica fosse la chiave per capire le interazioni forti; col suo linguaggio pittoresco diceva che gli adroni fanno troppo “rumore” e li chiamava “hooligans che vanno bene per il CERN …”, gli elettroni erano secondo lui più “gentili”.
Era anche insoddisfatto degli acceleratori che lanciavano elettroni contro un bersaglio fermo, “sprecando” la loro energia nel moto finale del centro di massa. Molto meglio sarebbe stato fare urtare particelle viaggianti in verso opposto, con il centro di massa fermo. Meglio ancora sarebbe stato annichilare elettroni e positroni, per “eccitare il vuoto” e produrre risonanze.
Il 7 marzo 1960 tenne un seminario presso i Laboratori Nazionali di Frascati e presentò la sua proposta di un anello magnetico in cui fare collidere e+ ed e– viaggianti su di un’unica orbita in versi opposti. Abbozzò anche, pur da fisico teorico, qualche soluzione per i grandi problemi pratici che il progetto avrebbe incontrato.
L’idea piacque a Salvini, Amaldi e Felice Ippolito, allora segretario del CNEN, i quali avevano anche trovato i fondi; la realizzazione venne affidata soprattutto a Giorgio Ghigo, Gianfranco Corazza e Carlo Bernardini.
All’inizio voleva convincere Salvini a convertire ad anello di accumulazione l’elettrosincrotrone appena entrato in funzione, ma questi non cedette e si decise quindi di costruire un prototipo di un piccolo anello – fortunatamente, perchè la trasformazione di un sincrotrone in anello di accumulazione, realizzata più tardi con la macchina CEA di Harvard, si rivelò complicata ed ebbe vita breve.
La piccola macchina, chiamata AdA (acronimo di Anello di Accumulazione, ma anche il nome della zia di Touschek che abitava sui colli Albani) entrò in funzione nel 1961 usando l’elettrosincrotrone come iniettore. Nel 1963 si preferì usare il Linac di Orsay, vicino a Parigi, e AdA, con il suo gruppo, fu là trasferito.
Touschek era sempre presente, erano celebri le sue sfuriate con tecnici e scienziati francesi nel suo linguaggio colorito e in un francese approssimativo, il suo modo intuitivo di risolvere problemi pratici anche grossi, spesso stimando l’ordine di grandezza di certi effetti e famosi erano anche i suoi disegni, per lo più satirici.
Per uno di questi problemi, di degenerazione del fascio saturo, risolto sembra in una notte al bar della stazione di Orsay intuendo quello che ora è chiamato ‘effetto Touschek’, dimostrò che in una macchina più grande il problema non sarebbe stato così catastrofico.
Proprio a Frascati era iniziata la costruzione di ADONE, sotto la guida di Fernando Amman, una macchina con due fasci contrapposti da 1.5 GeV ciascuno contro i 220 MeV di AdA, mentre i francesi costruivano ad Orsay ACO da 500 MeV. Iniziò così la feconda stagione della fisica degli anelli di accumulazione, e ben presto questi vennero costruiti in tutti i laboratori, dalla Russia all’America al Giappone fino al LEP del CERN.
A questo punto l’avventura era finita, iniziava la routine delle grandi collaborazioni internazionali e Touschek fu meno interessato e più distaccato, prestando però sempre la sua consulenza per la risoluzione di problemi.
Teneva regolarmente corsi all’Università di Roma e Pisa, apprezzati per la sua capacità e il suo impegno didattico, ma soffrì gli eventi politici di quel decennio, prima il ‘Caso Ippolito’ poi la contestazione del ’68 che lo infastidì quando fu portata dentro l’Istituto di Fisica. Lo irritava anche la burocrazia italiana e forse sarebbe tornato in Austria (aveva contatti con fisici austriaci, specialmente con Walter Thirring, e conosceva personalmente il Presidente Kreisky), ma restò per Edoardo Amaldi che stimava moltissimo.
Nel 1978 ottenne la Cattedra a Roma; nonostante ciò era molto amareggiato e stava sempre peggio; volle andare al CERN, ma la sua salute peggiorava e si trasferì a Igls, vicino a Innsbruck, dove poteva nuotare e pescare, due sue grandi passioni.
Dopo poche settimane morì nella Clinica di Innsbruck per coma epatico.
Oltre che per i suoi meriti scientifici, viene ricordato per il suo grande piacere per la vita, che condivideva con gli amici e i giovani che stava formando, e il suo peculiare senso dell’umorismo, (chiamò per esempio ‘Bond factor’ un parametro che assumeva il valore 0.07), espresso nel suo linguaggio mitteleuropeo.
Conservò sempre le sue radici austriache, ammirava l’arte di Schiele e Klimt, amava la lettura di Karl Kraus e il buon vino.
Un film-documentario dal titolo: Bruno Touschek e l’arte della fisica, curato da Luisa Bonolis, con la supervisione di Carlo Bernardini e Giulia Pancheri (regia di Enrico Agapito), raccoglie alcune delle testimonianze più significative sulla sua attività scientifica.