Alhazen (ibn al-Haytham Abū ʿAlī al-Ḥasan, ابن الهيثم)

Nato nella regione Mesopotamica corrispondente all’attuale Iraq, figlio di un dignitario. Nella sua autobiografia (del 1027) scrive che inizialmente fu indirizzato verso studi religiosi e di pubblica amministrazione, fu anche nominato Visir per la provincia di Bassora, ma si convinse dell’impossibilità che le diverse religioni, portatrici di messaggi tanto differenti e tanto violente nei loro conflitti, potessero trasmettere la verità, e si dedicò quindi completamente allo studio delle scienze razionali, soprattutto accostandosi ad Aristotele.

Si trasferì presto in Egitto, dove visse il resto della sua vita (secondo una versione non confermata da prove documentali), su invito del Califfo al-Hākim che avrebbe saputo di un suo progetto per la regolazione delle acque del Nilo, che causavano le ben note inondazioni. Giunto a sud di Aswān, con una squadra di tecnici ed operai, incontrò difficoltà che alcuni indicano tecniche, altri finanziarie, e dovette rinunziare al progetto. Al-Hākim lo accusò di incapacità e gli assegnò un posto da impiegato. Conoscendo la crudeltà e l’ira del tiranno, sembra che si sia finto pazzo e sia rimasto confinato in casa sino alla morte violenta di questo nel 1021.

Certamente si stabilì al Cairo, vicino alla moschea di Azhar che, come oggi, funzionava da università, dove insegnò e si mantenne copiando e traducendo in arabo testi antichi, soprattutto gli Elementi di Euclide e l’Almagesto di Tolomeo.

Non si limitò però alla copia e traduzione introducendo importanti speculazioni personali, approfondimenti e riformulazioni. La parte più rilevante dei suoi studi è raccolta in almeno 92 scritti noti (55 dei quali sono sopravvissuti, anche se parzialmente) di matematica, astronomia, filosofia e ottica. Secondo elenchi di contemporanei scrisse più di 200 opere, anche su etica, musica, teologia, poesia, filosofia, molte delle quali non ci sono pervenute.

Il suo contributo più importante fu nell’ottica, con un trattato in sette libri Kitāb al-Manāẓir (Libro dell’ottica), tradotto in latino intorno al 1270 con il titolo di De aspectibus e pubblicato nel 1572 a Basilea nell’Opticae thesaurus di Alhazen (dalla latinizzazione del suo nome al-Hasan), contenente anche la Perspectiva del polacco Witelo.

Con il suo lavoro l’ottica da scienza geometrica diventa una scienza fisica. Al centro del suo progetto sta il concetto di luce e la costruzione di una teoria della visione che operi, secondo le sue parole, una composizione delle scienze fisiche e matematiche, una specie di sintesi tra le dottrine dei geometri (Euclide e Tolomeo) e quelle dei filosofi aristotelici, tra le teorie emissioniste della visione (mediante ‘raggi visivi’ partenti dall’occhio, ritenuto puntiforme) e le teorie immissioniste (secondo le quali "èidola", specie di ‘ombre’ di un oggetto osservato, si staccavano dall’oggetto per raggiungere l’occhio umano).

Si propone di ricominciare l’indagine dai principi e le premesse, senza pregiudizi, non si può infatti riconoscere la verità di una proposizione se quest’ultima non è accompagnata da una dimostrazione, fino ad allora essa dovrà essere considerata un’opinione. Una scienza dimostrata si distingue non solo da ciò che conosciamo per sentito dire e per imitazione, sulla fiducia, o per intuizione, ma anche da ciò che ci sembra evidente.

L’Ottica non è una discussione filosofica sulla natura della luce, ma una analisi, matematica e sperimentale, delle sue proprietà, specialmente quelle legate alla visione. Nel primo libro sono prese in esame le proprietà più generali, e ciascun problema ‒ visione rettilinea, propagazione rettilinea della luce, differenti tipi di luce, condizioni generali della propagazione della luce e della visione ‒ è preceduto dalla presentazione di una serie di osservazioni, ripetute in diverse condizioni, perché è attraverso l’induzione che l’oggetto della nostra conoscenza si eleva al rango di ‘oggetto conosciuto’ e che l’opinione che noi abbiamo di esso diviene ‘scienza’. L’induzione, però deve essere accompagnata da un’altra operazione che chiama iʿtibār (tradotta con sperimentazione): un’osservazione, costantemente ripetuta su diversi oggetti e in differenti condizioni, che a volte si basa sull’uso di uno strumento, ma può essere anche una dimostrazione matematica o un ‘esperimento mentale’.

Nel secondo libro studia la percezione visiva: la visione ha inizio con la ricezione delle ‘forme’ (ṣūra) del colore e della luce, veicolate dai raggi provenienti dalla superficie del corpo che colpiscono il cristallino. Dal momento che ogni raggio proviene da un punto di questa superficie, è possibile stabilire una corrispondenza, punto per punto, tra le forme così recepite e i diversi punti del corpo visibile. Inoltre, l’ordine in base al quale tali forme si collocano sul cristallino corrisponde esattamente all’ordine in cui sono disposte sulla superficie del corpo visibile. Per questo dovette pensare ad una scomposizione particellare degli oggetti osservati, ed attribuire a ciascuna infinitesima componente la capacità di emissione di ‘forme’ in ogni direzione (un embrione della successiva teoria corpuscolare della luce) delle quali una sola avrebbe potuto colpire la cornea con una traiettoria rettilinea perpendicolare al piano della cornea, e attraversarla fino a giungere alla cavità del nervo ‘sensorio’ dove ha luogo la percezione immediata.

Avendo studiato l’anatomia dell’occhio, soprattutto da Galeno, si rese conto, con semplici schemi di geometria, che le ‘forme’ attraversando il globo (con traiettoria rettilinea), si sarebbero disposte sul fondo in ordine inverso e l’immagine risultante sarebbe capovolta, come in effetti accade. Siccome si vede diritta, pose il "sensorio" in un punto della traiettoria raggiunto precedentemente al punto di "capovolgimento" (la pupilla) identificandolo nel cristallino. Solo con Keplero e con il riconoscimento del ruolo di lente del cristallino si arrivò ad una corretta spiegazione.

Tuttavia lo studio sul capovolgimento dell’immagine, dovuto al passaggio dei raggi per uno stretto foro gli diede lo spunto per sviluppare il primo esempio di camera oscura.

Distinse poi tra percezione visiva, operata dal nervo, e ‘discernimento’ e successivo ‘riconoscimento’ delle immagini, operati dall’intelletto in base anche alla esperienza, la memoria e l’apprendimento. Nel terzo libro studia quindi la fallibilità della percezione, le condizioni per una buona visione e gli errori nella visione, tra i quali le illusioni ottiche, che usa per analizzare l’eventuale influenza della psiche umana nella formazione dell’errore, essendo la sua propensione a favore di un carattere soggettivo della visione.

Nel quarto, quinto e sesto libro studia la riflessione dando una completa formulazione delle leggi relative a specchi piani, sferici, cilindrici e conici sia concavi che convessi. Nel quinto libro figura la formulazione e la soluzione del cosiddetto problema di Alhazen così riformulato da Huygens: dato uno specchio sferico, convesso o concavo, e una sorgente luminosa puntiforme, trovare il punto dello specchio in cui si riflette il raggio che perviene all’occhio di un osservatore. La sua soluzione geometrica è abbastanza incomprensibile; una elegante soluzione fu trovata da Huygens e Riccati per via geometrica; molti tentativi furono fatti per via analitica e Peter Neumann, nel 1997, diede una soluzione algebrica (si tratta di un problema di 4º grado). Recentemente (2011) Agrawal, Taguchi e Ramalingam dei Mitsubishi Electric Research Labs (MERL) hanno risolto la sua estensione a specchi con una generica simmetria rotazionale (iperbolici, parabolici, ellittici ecc.) mediante un’equazione di 8° grado.

Il settimo libro si occupa della rifrazione: esperimenti su oggetti trasparenti di forma sferica o cilindrica lo portarono a una spiegazione basata sull’idea che la luce abbia una velocità variabile, minore nei mezzi più densi. Gli studi sulla rifrazione dei raggi solari lo condussero a ipotizzare un’atmosfera finita, con uno spessore di circa 15 km attuali. Spiegò anche la luce del tramonto e dell’alba con la rifrazione dei raggi solari quando il Sole è sotto l’orizzonte. Introdusse i termini di angolo di incidenza e di rifrazione come li conosciamo ora, formulò le leggi della rifrazione, ma pur parlando di numerosi esperimenti in proposito, non mostra nessuna tabella di dati, presente invece in Tolomeo.

Oltre al Libro di Ottica scrisse numerosi altri trattati relativi all’ottica, nei quali si occupa della luce della Luna (Maqala fi daw al-qamar, o Sulla luce della Luna) della sua dimensione apparente, dell’arcobaleno, delle eclissi, dell’ombra e altro.

Scrisse anche 25 opere di astronomia, alcune tecniche o contenenti osservazioni astronomiche, altre affrontano problemi osservativi dell’epoca, come la distanza della Via Lattea, o questioni teoriche. Il suo M(aqāla) f(ī) Hayʾat al-ʿālam (On the Configuration of the World) una sorta di spiegazione divulgativa e non tecnica del sistema tolemaico, con l’intento di fondarlo su basi fisiche e non puramente geometriche, fu tradotto in spagnolo per Alfonso X di Castiglia e poi in latino col titolo di Liber de mundo et coelo e contribuì molto alla popolarità dell’astronomia tolemaica nel Medioevo e Rinascimento.

Nel Al-Shukūk ‛alā Batlamyūs (Dubbi su Tolomeo) critica alcune contraddizioni nell’Almagesto ed altre opere astronomiche di Tolomeo, soprattutto il fatto che alcuni artifici matematici introdotti, come l’equante, non corrispondevano al principio generale di moti circolari uniformi. Nell’opera affronta la questione del progresso scientifico affermando che anche le autorità scientifiche riconosciute (come Tolomeo) possono avere commesso errori e che la critica delle teorie esistenti ha un ruolo rilevante nel progresso della conoscenza.

Nel Modello del moto di ciascuno dei sette pianeti, andato in gran parte perduto, cercò di costruire un modello geocentrico che descriva il moto dei pianeti in termini di geometria sferica e trigonometria, senza le contraddizioni rilevate in Tolomeo.

Scrisse molto anche di matematica, soprattutto di geometria e teoria dei numeri.

La sua Ottica, diffusa nella traduzione latina (se ne conoscono ancora almeno 19 copie manoscritte), nel XIII e XIV secolo influenzò fortemente i successivi studi fino al XVII secolo: abbondantemente citata da Ruggero Bacone e Witelo, una traduzione italiana fu usata da Lorenzo Ghiberti e secondo Charles Falco influenzò lo studio della prospettiva nei pittori rinascimentali, l’edizione a stampa di Basilea era certamente nota a Keplero, Snell, Fermat e Cartesio che, eccetto l’ultimo, la citano direttamente.

Al suo nome è dedicato il Cratere Alhazen sulla Luna e l’asteroide 59239 Alhazen.

Il 1000° anniversario dell’Ottica di Ibn Al-Haytham è tra le ricorrenze che l’UNESCO ha incluso nel proclamare il 2015 ’Anno internazionale della luce e delle tecnologie legate alla luce’ ed è stato ricordato con l’evento The World of Ibn Al-Haytham che include mostre, exhibit interattivi, spettacoli, laboratori e media digitali e video curati dall’organizzazione 1001 Inventions.